La marginalità è redenzione

La marginalità è redenzione

Articolo e foto di Martino Ciano

Resta ai margini la poetica della libertà: essere anonimi e quindi non spendibili, restare fuori dalla compravendita quotidiana. Nome e cognome ci sono dati per effettuare la primaria e necessaria identificazione, poi diventano attributi per il violento mercimonio che ci divora e ci imprime colpe, pene, giudizi, premi, gratificazioni, onorificenze. Diventiamo eteronimi e le nostre opere non equivalgono più con il nostro carattere, il nostro fare non è il nostro sentire; ma quando ciò avviene è intervenuto il potere conciliante del compromesso. La coscienza si assopisce, l’estasi del mercato ci avvolge, il fuoco si è spento. Un tempo, essere un eretico era un atto di coraggio, perché imponeva di abbandonare la società, di ritirarsi in un luogo isolato in cui poter vivere secondo il proprio gusto. Oggi, l’eretico vuole sovvertire il sistema, cerca di distruggere quella struttura composta di simboli che, nonostante tutto, resiste alle negazioni manifeste e sottaciute. I simboli legano, i simboli sono la materia oscura di ogni struttura sociale. Se crollano, l’individuo si sgretola; nel momento in cui ne viene tolto uno, bisogna sostituirlo per forza con un altro.

L’imbroglio della ribellione

Prima il marketing, poi il libro; prima il personaggio, poi la sua scrittura. Questo assioma lo possiamo applicare per tutto, perché nell’epoca in cui crediamo di sapere e di poterci procacciare velocemente la conoscenza, l’unico valore spendibile è la propria immagine. Lei è l’unica novità e, senza preavviso, può essere modificata costantemente. La sua durata infatti è minima, rientra nell’andazzo del consumo e del riciclo. Dare un’immagine troppo statica di sé stessi innesca la delusione in coloro che la consumano. Costruire sempre nuove versioni del proprio corpo e del proprio ego è però un lavoro difficile e dispendioso, per il quale bisogna sacrificare la propria libertà di pensiero. Il politicamente corretto è ciò che rende un personaggio gradevole. Più è eccentrico nei suoi comportamenti, più è legato a un sistema. Il suo linguaggio apparentemente anticonformista è calcolato e segue le regole mediatiche del periodo storico. In poche parole, è un ribelle che spara con una pistola a salve, nonostante punti al cuore dei suoi interlocutori. Diritti civili e ambientalismo fanno i figli belli. Al momento, questi sono i due argomenti che più servono al potere per fingere di autoescludersi da ogni scelta calata dall’alto. Dichiararsi incompetenti su questi temi non è ammesso, anche perché sulla rete sono disponibili diversi decaloghi capaci di suggerire cosa dire e cosa non dire, per cosa combattere e per cosa non combattere. Il risultato? Non si parla adeguatamente di diritti civili e di ambiente; non si prendono provvedimenti seri; si alimentano solo fenomeni di massa e mode economicamente attraenti; chi invece lotta davvero per l’ambiente e per una società giusta è tagliato fuori dal teatrino mainstream.

La colpa del vincitore

Tornando ai libri, uno dei momenti più appassionati sono i proclami di indignazione per i premi letterari più blasonati. Lì si incontrano perfettamente invidia sociale, acclamazione narcisistica e meritocrazia del contatto giusto. Il comun denominatore di tutto questo gioco è uno: l’accettazione di un sistema che si svela senza pudore. Per l’amor del cielo, tutto bello, a tutti piacciono cinque minuti di gloria o qualcosa in più, ma si è consapevoli dell’ingranaggio? Il più sfortunato del gioco è proprio colui che vince. Infatti, per settimane sul suo conto si scrivono pochissimi elogi e moltissime calunnie; contro di lui si scatenano orde di lettori che condannano la sua scrittura e la sua intelligenza. Insomma, ogni sistema ha la sua vittima sacrificale, il padre da uccidere e il totem da innalzare. Molti crederanno che questo fenomeno sia il riflesso di una “emancipazione negativa”, per me è semplicemente “umanità” governata dalla specie dominante, ossia quella dell’homo oeconomicus.

Ciò che appare infinito è già finito

Non ci sono infinite possibilità di redenzione in tutto questo, ognuno naviga alienato nel proprio assolutismo, tanto da rendersi vittima e carnefice. Già i nostri avi greco-romani mettevano in relazione la gloria con l’opinione, giacché alla prima corrisponde l’altra, senza l’una non esiste l’altra. Da questo concetto deriva anche la nostra e, infatti, non c’è niente come l’opinione altrui che possa influenzare il nostro modo di essere. Ma c’è anche un’aggravante, quella dei nostri tempi è una gloria che si conquista per acclamazione e, proprio per questo, dura il tempo di uno schiamazzo, di un battito di mani, di un like, di un post, di una storia, di un reel, di un video TikTok. Chi la insegue può raggiungerla, chi non riesce ad acciuffarla può cadere in un baratro. Il fenomeno ha colpito tutti i ceti sociali. Ciò che appare infinito è quindi già finito, il problema è che non abbiamo più voglia di tornare all’origine e comprendere perché tutto ha avuto inizio.

Post correlati