Ruol e il suo inventario

Recensione di Alessio Barettini. In copertina: “Inventario di quel che resta dopo che la foresta brucia” di Michele Ruol, TerraRossa edizioni, 2024
Scrittura incorniciata da una precisa volontà sistematizzatrice, l’inventario di Ruol descrive con minuzia ogni aspetto, a cominciare dalla casa dei protagonisti, le sue stanze e i suoi oggetti, ciascuno con la propria forma e la propria storia. E anche i personaggi sembrano parte della stessa opera di riordino: Maggiore e Minore, i figli, Padre e Madre.
I primi due, già spariti, morti in un incidente d’auto sulle cui dinamiche Padre e Madre vivono senza chiarezza alcuna, rivivono nelle memorie della casa. Le cose sembrano raccontarli più ancora dei genitori preda di comprensibili ansie, di necessità intime da conoscere per continuare a vivere. Lui si butta nel lavoro, lei cerca nuove strade. Ruol esordisce con coraggio sulla strada accidentata della conoscenza di reazioni imprevedibili e complesse come quelle che provano i due genitori privati della loro risorsa più importante, i figli.
Tutto si tiene. La notte dell’incidente, un incendio distrugge parte della foresta fuori del paese, e durante la lettura si scoprono le relazioni fra questi fatti, e fra questi fatti e altri, poco chiari; fra i destini, le speranze interrotte, le memorie. Le cose appaiono prive di senso, ma lo acquisiscono come la luce di un’alba entra a illuminare gradualmente la notte.
La notte dell’incidente c’era stato un incendio sui colli che cingevano a sud la città. L’intero fianco di un monte era andato in fiamme: il vento aveva sparso cenere per le strade, nei parchi, sui balconi per giorni, anche dopo che le fiamme erano state spente. Allo stesso modo, dopo l’incidente, Madre e Padre avevano avuto la cassetta della posta invasa da lettere per giorni.
I genitori alle prese con una vita nuova in cui la preoccupazione principale è la collocazione della memoria in un modo nuovo, tutto da imparare, sono al centro di questo viaggio fra gli spazi della casa. La loro presenza è percepibile anche quando Ruol indugia nel racconto degli oggetti. Loro sono lì, seduti a fare la maglia o a lavorare. Sono lì in una sorta di spazio eterno della memoria, un limite che osserva l’assenza e il ricordo/desiderio della presenza. Tutto è visibile ma nulla ha significato. Tutto trova il proprio spazio, nell’inventario, e si illumina un istante di esistenza, ma poi viene a spegnersi, risucchiato dal buio dell’oblio e del dolore che rende tutto immobile come in una fotografia di famiglia in cui i dettagli raccontano storie dimenticate.
Per la prima volta dopo anni avevano fatto l’amore. Entusiasta, l’ultimo giorno il Padre aveva insistito per comprare un tappeto che a Madre piaceva. Non sarebbe stato un souvenir, ma la prima pietra di una nuova vita. Aveva contrattato sul prezzo per più di un’ora, e tutto quello che era riuscito a risparmiare l’aveva dovuto spendere per farlo spedire in Italia. Il tappeto aveva preso posto nell’angolo più buio della casa. Tutto il resto era tornato come prima, come la volta precedente.
Anche i fatti, gli eventi che oscillano fra i ricordi dei vari “prima” e il tempo in cui a Padre e Madre è toccato in sorte di continuare da soli, procedono in modo freddo. Frasi brevi, ampio uso di verbi dal modo indefinito, le parole sembrano contenitori che devono tenere insieme dei pezzi di loro stessi, le cose si susseguono come elenchi di forme che scorrono davanti a occhi troppo presi da altri sentimenti per accorgersi del tutto di loro. La precisione è ossessiva, l’effetto è sgranato: come un’immagine troppo definita, l’eccesso di oggetti produce straniamento, senso di attesa che finisce per essere il maggiore ostacolo al ritorno alla vita.
Così le pagine della ricostruzione dell’incidente, dello sguardo narrativo all’auto distrutta contro l’albero, appaiono della stessa tonalità di tutte le altre, ugualmente fredde, distanti, come un resoconto di polizia dentro il quale sgomitando due parole più piccole di tutte le altre, padre e madre, abbiano deciso di risalire e ritrovare le loro dimensioni naturali, strada necessaria tanto per la memoria dei loro figli quanto per loro stessi.
Nonostante l’ampio numero di oggetti, la narrazione non si allarga mai, e questo restare sul bordo crea un effetto di finta estensione. Tutto in realtà accade in fretta. Il libro è molto breve, la densità degli eventi raccontati si chiude su sé stessa, il senso di asfissia è senz’altro reso con precisione. Ruol sceglie di non mostrare alcuna luce, lascia che essa resti un’idea, una possibilità, e questo non nuoce all’architettura del libro ma forse all’andamento generale che attraversa i personaggi.
Passati otto anni, il dolore era sempre lì, immutato. Madre, quando pensava alla sua vita, immaginava la foresta distrutta dal fuoco nella stessa notte dell’incidente. Rivedeva quelle distese di alberi carbonizzati, distese di moncherini neri lungo il fianco della montagna. Un bosco identico a quello che c’era prima non sarebbe mai più cresciuto, lei lo sapeva.
Scrivere di dolore non è semplice. Raccontare il dolore che non si rimargina mai, se non nella consapevolezza della sua eternità, richiede precisione e forse arguzia. È quest’ultima che forse è mancata a questo libro, nel fatto che Padre e Madre sono raccontati dalla stessa identica voce, sia che siano passati sette giorni dall’incidente, sia che siano passati diciotto anni. L’autore con caparbietà mostra questa evoluzione appena in controluce, finendo per affrettarla.
Il romanzo, chiaramente non semplice nei contenuti e neanche nella forma (narrazione esterna che si muove fra gli oggetti e deve quindi conservare una certa omogeneità), di buona fattura e pagine non banali, mostra una voce interessante che sarebbe ingiusto collocare già nel campo dei capolavori. È un lavoro che appare sorto da un’idea di fondo sviluppata con intelligenza e uniformità, che offre riflessioni interessanti sia per sé stesso sia all’interno di tutti i libri della dozzina dello Strega, che suggerisce un possibile percorso in crescita per un autore alla sua prima prova, e per una casa editrice anch’essa alla prima prova (il libro è entrato in cinquina), ma che ha già fatto vedere potenzialità ed è ormai una realtà cresciuta e conclamata nel panorama generale.
