Abbiamo tutti bisogno di un amico fragile. Nicola Vacca e l’omaggio a De André

Abbiamo tutti bisogno di un amico fragile. Nicola Vacca e l’omaggio a De André

Recensione di Marcello Buttazzo. In copertina: “Abbiamo tutti bisogno di un amico fragile” di Nicola Vacca, Qed edizioni, 2024

E fu la notte
tra le nuvole barocche
manca un invito a guardare
indossiamo la sciarpa
la realtà è fredda
i sogni non riscaldano.

Resta il buio
in questo silenzio
dove un amore ha sempre bisogno di un cielo.

È appena uscito il libro di versi “Abbiamo tutti bisogno di un amico fragile” di Nicola Vacca, pubblicato da Qed edizioni di Pina Labanca nella collana Stèresis. Il volume è impreziosito da alcuni disegni di Mauro Trotta. È un viaggio profondo e lirico nel mondo poetico di Fabrizio De André, a venticinque anni dalla sua scomparsa.

De André con la sua esistenza esemplare e con la sua prodigiosa produzione artistica ha sempre navigato in direzione ostinata e contraria, ci ha fatto assaporare il gusto e il valore inalienabile della libertà, ci ha donato gocce di splendore, ci ha fatto apprezzare il significato inerente della parola.

I versi di Nicola Vacca dedicati a De André sono un omaggio sentito all’uomo e all’artista, alla sua onestà intellettuale, alla sua verve anarchica, alla sua visione mai omologata della realtà effettuale. Specialmente in quest’era derelitta, di viltà, di finzioni, abbiamo più che mai bisogno di un poeta come De André che ci indichi ancora la strada sterrata e malagevole della libertà.

In una nota finale al libro Nicola Vacca scrive: “Abbiamo bisogno delle sue parole irriverenti perché oggi gli ultimi sono ancora qui, gli emarginati sono diventati un esercito, il potere è ancora quel sistema che prende per fame, la libertà è in pericolo e la guerra è una minaccia quotidiana”. In specie in questo tempo diseredato e fiaccato dalle falsità, possiamo nutrirci alla fonte cristallina delle parole apocrife e nomadi di Faber, che sono come calie preziose a cui guardare con rispetto, con devozione.

La smisurata preghiera di Faber è il laico stratagemma dove abbeverare i nostri pensieri. Nei suoi versi, Vacca si interroga su quest’inferno di terra attuale, terra fredda e feroce, in cui siamo tutti sballottati. Come Faber, Vacca si scaglia contro i tanti “Signori benpensanti” che popolano la quotidianità: “Al rancore preferisco la bestemmia/con le parole in libertà/Blasfemo per amore della vita/che è lotta e mai rassegnazione”.

Vacca s’interroga, si chiede insistentemente se “saremo ancora capaci di tenerezza/in questo sfacelo di anime mai salve?” Forse, davvero noi umani non siamo preparati alla stagione delle rifioriture. E sempre troppi saranno i baci mai dati nelle canzoni dell’amore perduto. Il pensiero di Vacca sul presente di questa “bella” civiltà è amaro. Desolato il pensiero su questa contemporaneità “dove si sente l’odore di sangue”.

Per Nicola non esistono poteri buoni, il potere divora tutto. E partendo da questo assunto irrefutabile, “solo per questo in ognuno di noi/dovrebbe esserci un uomo in rivolta”. Quell’uomo in rivolta che non si dovrebbe rassegnare al cospetto delle ingiustizie e delle angherie, ma deve saper procedere in direzione ostinata e contraria col suo marchio speciale di speciale disperazione.

C’ è rassegnazione per questi uomini e queste donne contemporanee che stanno sulla collina senza coltivare sogni comuni, aspettative accettabili. La nostra “è una Spoon River senza fine”.  In “Coda di Lupo”, De André canta: “e a un Dio a lieto fine non credere mai”. Per Nicola, oltre la siepe del disincanto, non c’è nessuna verità. La vita ordinaria sulla terra è molto aspra, dura, e per Vacca “dall’alto dei cieli/ci benedice un dio contro”. In “Un blasfemo”, Faber canta: “Perché dissi che Dio imbrogliò il primo uomo, lo costrinse a viaggiare una vita da scemo”. Vacca non riesce a trovare risposte alle vane rincorse. Il suo mestiere di vivere di scrittore e di uomo è quello di porsi domande mentre vaneggia di bestemmia in bestemmia. In “Disamistade”, De André canta: “E per tutti il dolore degli altri è dolore a metà”.

Nicola, con la sua precipua concezione socialista umanitaria, sa che noi siamo il dolore degli altri. Al dolore degli altri bisogna partecipare con il nostro sangue, con il nostro corpo: “Se si vuole essere davvero fraterni/il dolore degli altri/bisogna viverlo come fosse il nostro”.

Ascoltando “La cattiva strada”, viene in mente a Nicola un inferno di storie terribili e la consapevolezza che giocoforza danziamo sopra un cumulo di rovine. Ascoltando “La domenica delle salme”, Vacca vive il suo umanitarismo acceso, perché sa che ciò che conta, quando tutto intorno crolla, è stringersi in un abbraccio, per far balenare un po’ di calore umano, quell’amore che è “l’unico gesto che fa rumore”. Ed effettivamente non è facile parlare d’amore, perché l’amore è una casa da abitare con passione, con abnegazione. “Non è facile niente/di questi tempi in cui si sputa sangue”.

Il tempo corrente è quello che è. Tempo della noncuranza, della neghittosità, delle ipocrisie. A osservare questo mondo capovolto, veramente malmesso, ci viene da pensare che noi umani non siamo in grado sovente di ingenerare alcuna impresa d’amore. “Siamo diventati spietati/anime per niente salve/ in questi passaggi di tempo”, scrive Vacca. E sì che abbiamo tutti bisogno di un amico fragile, abbiamo bisogno d’un sorriso, d’una carezza, d’un bacio “dove le bocche sono chiuse”. Abbiamo bisogno di “chiedere ascolto, dove parole vomitano parole”. Abbiamo tutti bisogno di un amico fragile che, al di là dagli accomodamenti vari e dalle pavidità del pensiero, “ad alta voce ci dica la verità”.

Il mondo è una prigione di fredda ferraglia, che ci incatena con i suoi dogmi, con le verità precostituite. Abbiamo bisogno di respirare sorsi veri di libertà. La libertà autentica è amore esperito. Il poeta Nicola Vacca avverte tutta l’anarchia che naviga dentro: “tornerò sempre a parlare/nei vapori di un bar/per le strade sterrate/con tutta l’anarchia che ho nel cuore”. In “Abbiamo tutti bisogno di un amico fragile”, c’è un’aspra denuncia contro l’uomo contemporaneo, immiserito dalle mediocrità. Un uomo contemporaneo che ha scelto una strada sbagliata, senza alcuna voglia manifesta di voler modificare il proprio status. In questi passaggi di tempo dobbiamo cercare come pazienti rabdomanti la giustizia, senza la quale il mondo non gira, non regge. Come Faber che amava i suoi nomadi, le eterne princese, le prostitute, i tossici, i diseredati e gli emarginati di questa “vincente” e “trionfante” società, così “dovremmo sapere/che stare dalla parte giusta/significa giocarsi la vita da perdenti”.

Nicola Vacca con “Abbiamo tutti bisogno di un amico fragile” ha redatto una struggente e poetica preghiera laica che, come la smisurata preghiera di De André, ci rende uomini innamorati della libertà, della letteratura, della vita. 
                                                                  

 

Post correlati