Vincent deve morire. Stéphan Castang e la violenza post-moderna

Recensione di Gianni Vittorio. La foto in copertina è la locandina del film “Vincent deve morire” di Stéphan Castang
Un grafico inizia ad essere aggredito da uno stagista nel luogo di lavoro senza un apparente motivo. Il giorno successivo verrà ferito al braccio da un altro collega. Inizia così per Vincent un calvario fatto di paranoia, paura del prossimo, alienazione e follia. Metafora della società post-moderna, simbolo dei tempi frenetici che stiamo vivendo. La violenza è una reazione alla vita nervosa e angosciante che caratterizza i nostri tempi.
Ciò che scatena l’atto di violenza inflitto a Vincent è lo sguardo, che può essere interpretato come il riflesso di ciò che ognuno riceve da se stessi. Chi commette aggressioni e vessazioni verso gli altri lo fa con gli stessi strumenti che utilizzano i pubblicitari per vendere prodotti. Il nostro orrore è stato comprato, ci nutriamo di immagini che proiettano violenza e guerra, tutto questo ci porta verso due direzioni: o l’assuefazione e l’annichilimento, oppure si reagisce commettendo gli stessi atti di violenza riflessi nelle immagini che vediamo negli spot.
L’abbrutimento morale del mondo attuale ci rende passivi nei confronti del prossimo. Ancor peggio, nella quotidianità ci fa sembrare normali (e plausibili) le guerre e il male (inteso in senso lato) ai quali assistiamo come spettatori non protagonisti. “Vincent deve morire” è un film che sa inquietare, insospettire e che diventa cartina di tornasole di una condizione che sembra essersi ormai radicata in quelle quasi inavvertibili piccole violenze quotidiane che si scatenano, improvvise e ingiustificate, a segnare di sangue la nostra quotidianità (citazione da sito).
Il regista Stéphan Castang, giunto al suo primo lungometraggio, mescolando diversi registri stilistici, passando dal thriller alla commedia nera, toccando anche il distopico, riesce molto bene a trasmettere un senso di ansia e alienazione mettendo lo spettatore di fronte a un grosso interrogativo: la società digitale è avviata verso un percorso irreversibile, fatto di violenza e paranoia? Oppure siamo ancora in tempo per porre un freno all’incubo a cui siamo destinati? Forse l’unica salvezza è la fuga.