Il viandante si affretta nella sera

Il viandante si affretta nella sera

Prosa di Rocco Giudice. Foto di Martino Ciano

Che uomo è, questo, quale sera attraversa dove non c’è una sola stella, dove non si scorge nulla che indichi il sentiero che sta percorrendo e che divide in due esatte metà il mondo, di cui egli non sembra avvertire la vastità, cui non sente estranea la propria solitudine: solo un fitto reticolo di foglie fa da sfondo a ogni suo passo, ovvero gemme di neve che intarsiano lo spazio – ma chi saprebbe dire se esso sia aperto e si perda o sia stato chiuso per sempre attorno a questo personaggio –; o che si levano, senza ardere ancora, terse fiamme di cui lo stesso fuggiasco sembra consista, quasi germinassero dal suo corpo, dipartendosi da colui che, invece, tanto si affanna a sottrarvisi: o come esse, anch’egli scaturisse dall’aria, priva di profondità.

E quale strano abito, per nascondere la sua premura – per cui, invece, fu plasmata l’agilità del corpo, di un’improvvisa e insperata letizia – secondo una foggia determinata dal costume di un’epoca trascorsa, ma cui non ha fatto in tempo a scampare… Che buffo cappello, che non lo salva dal viso – l’uno e l’altro, non più delicati d’un coriandolo – rappreso intorno alla malinconia di cui gli dà la forza soltanto l’idea di sgusciarne via, di districarsi dai lineamenti accennati come un sussurro, come una diceria di cui porta addosso la calunnia e che lo atterrisce, perché soltanto essa è l’unica certezza che ha raggiunto su di sé… E com’è patetico, l’appuntito e minaccioso bastone che non distanzia dalla sua figura l’impressione che egli, anziché accelerare l’andatura per qualche ordinaria e anch’essa passeggera, fuggevole ragione d’urgenza, stia scappando: e non c’è nulla da cui speri remissione o salvezza, tregua o riposo.

Ma, come sappiamo, a nulla e a nessuno riusciremmo a somigliare – anche se non lo volessimo e anche se non sapessimo di imitarlo tanto più goffamente di quanto il suo essere la nostra caricatura possa darcene la possibilità o l’impressione – più che a questo inconcepibile profugo: che, giustappunto, corre lontano dai sogni in cui potremmo incontrarlo: per timore di rendere infondate le paure di cui solo in tal modo cogliamo le allusioni.

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