Il Ver perenne. Poesia e utopia in un romanzo in “sei movimenti”

Recensione di Angelo Maddalena. In copertina: “Il Ver Perenne” di Fabio Razzi, Collettivo Distillerie, 2024
Ver perenne vuol dire luogo in cui ci si ritrova per discutere, per mangiare e per bere insieme, mentre il sottotitolo sembra una poesia o un enigma: “sei movimenti ultimo nessuno”. Però poi leggendo, dall’inizio alla fine, tutto è chiaro, anche se lo stile di scrittura è molto asciutto e a volte chiede di intuire, visto l’utilizzo di una punteggiatura e di un fraseggiare minimali.
C’è anche un tono epico, se vogliamo, e questo andare della narrazione essenziale, forse è tipico di chi frequenta la terra (“contadino, anarchico e poeta”, è la dicitura del titolo della postfazione del libro), come ha fatto e continua a fare Fabio in quella Montagnola senese dove ha sempre vissuto. Io l’ho incontrato pochi anni fa e non avrei immaginato che in un uomo di poche parole come lui, si nascondesse il “fiume” di parole che ho trovato nel libro.
Infatti mi ha spiazzato, e dovrebbe essere sempre così per chi scrive un libro: asciuttezza, essenzialità e verità, come ci insegnano certi maestri… come Alessandro Manzoni: utile per iscopo, interessante per mezzo, vero per soggetto. Nel libro Ver perenne c’è tutto questo e anche altro: la crudezza della vita dei campi e la fatica dei lavoratori, la ribellione, la rabbia, la diserzione, l’anarchia di fine Ottocento e di inizio Novecento. Non c’è retorica, ma descrizioni di paesaggi e di uomini, di albe, di tramonti e di atmosfere crepuscolari che non cedono mai all’idillio, anche se lo sfiorano a tratti.
C’è Berto che ricorda, all’inizio del libro, e i personaggi che affiorano dalla sua memoria e che attraversano il Novecento, fino al 1960. Non ci sono quasi mai date e riferimenti troppo netti, tutto si intuisce e si delinea perché i riferimenti sono precisi, nonostante le date e i numeri che molto spesso non appaiono.
Insomma, è la storia che ci appartiene e che ritorna, nella narrazione, e che ci fa assorbire i volti e i gesti di riscatto; a partire da alcuni lavoratori dei campi che si organizzano per ribellarsi alla tassa sul macinato, a fine Ottocento. Ci sono poi l’esilio e la diserzione di militanti anarchici e antimilitaristi, ma anche discordie tra impostazioni ideologiche collettiviste e individualiste, dimostrando così un panorama che non era troppo piatto o semplificato.
Ritroviamo qui un mondo rimosso che riprende cittadinanza e dignità, riacciuffate dopo e oltre l’era consumistica che ha spazzato via memoria e utopia.
Nota a margine
In un passo del libro si racconta che circa cento anni fa, per ribellarsi ai padroni, i braccianti avevano imposto un prezzo calmierato ai negozianti, con la forza, anche con la requisizione della merce; oggi, il commercio equo e solidale e molti produttori biologici, pretendono di fare la rivoluzione alzando i prezzi dei prodotti.
Ivan Illich lo aveva predetto: i prodotti biologici sono riservati a pochi, sono elitari. Cristopher Lasch ha scritto il libro “La rivoluzione delle elites” e, se è per questo, anche un certo Francesco Terreri, in un forum di Ctm Altromercato, a Paestum, nel 2000, aveva ammesso che il commercio equo e solidale è un circuito elitario, non più di duecento mila persone in tutta Europa possono permettersi di comprare regolarmente il tè, il caffè e altri prodotti di questo tipo.
Sono punte di iceberg di svolte epocali e mutamenti antropologici di cui aveva già parlato Pasolini, e non solo lui, profetizzando la trasformazione delle masse operaie e contadine in piccolo borghesi. Dico questo non per accusare o polemizzare, ma per tracciare una linea di svolta a volte poco visibile o poco considerata, esponendosi a confusioni antropologiche e politiche: la linea che divide l’azione diretta, il coraggio di affrontare i conflitti sociali dalla perdita di questo coraggio e, quindi, il ripiego verso soluzioni facili vendute come forme di “militanza” o di lotta.
Parlo del commercio equo, perché in un periodo del mio percorso sono stato militante in quel circuito, ma potrei da lì in poi fare un’analisi delle derive che dagli anni Novanta del Novecento hanno attraversato e attraversano le forme di militanza ecologista, cioè i vari arretramenti e difficoltà di affrontare i conflitti da parte di molti anarchici e altri movimenti di resistenza popolare.