Personaggi precari. Vanni Santoni e la realtà epigrafica

Personaggi precari. Vanni Santoni e la realtà epigrafica

Recensione di Martino Ciano. In copertina: “Personaggi precari” di Vanni Santoni, Voland, 2024

Personaggi in cerca d’autore; donne e uomini bisognosi di un attimo di popolarità, sicuri di lasciare una traccia del loro passaggio in quest’epoca di confusione, di sovraesposizione, di ricerca dell’unicità. Vanni Santoni immortala tutto ciò attraverso delle epigrafi che hanno tanto il sapore dell’epitaffio quanto di impressioni suggestive da lasciare ai posteri.

Usa l’ironia, il sarcasmo, il gioco di parole, l’allegoria, il doppio senso; Ci sono anche frasi apparentemente gettate lì, che il lettore deve interpretare. Alcune volte, infatti, ci sembrerà di trovarci davanti a un enigma da risolvere, per giungere poi a un’amara rivelazione sui nostri usi e costumi. Insomma, lo scrittore toscano ci consegna dei segni e lascia a noi il compito di decifrarli. Il risultato è scontato? No, perché non è sempre semplice delineare “il bello e il brutto” della nostra epoca.

La precarietà, d’altronde, è una cosa che ci appartiene, che ormai si è ben incistata nel nostro modello di vita e nella struttura che sorregge la nostra società. Ma come dice bene Raoul Bruni nella sua preziosa postfazione, Santoni non si occupa solo della precarietà economica, ma di quella che si è ormai accomodata, come la polvere, su tutto ciò che ci circonda. Siamo immersi in questa caducità, anzi ci sguazziamo così tanto che nemmeno ci accorgiamo di quanto i nostri atteggiamenti siano diventati effimeri.

Altro aspetto da non sottovalutare, ma che dà ancora più valore all’opera: non esiste in “Personaggi precari” il piagnisteo. La precarietà non è rappresentata solo dai “diversamente” rammolliti della generazione tradita, ossia quelli nati tra gli anni Ottanta e Novanta del Novecento, ma è una malattia dell’anima che alberga in grandi e piccini; ognuno però, per quanto ne avverta i sintomi, non ha nessuna intenzione di curarsi, figuriamoci di guarire. E questo atteggiamento non è segno di presunzione, ma di ignoranza, di non conoscenza di quel meccanismo collettivo che regola le reazioni di ciascuno.

Santoni non è neanche pessimista; forse è cinico in alcune sue trovate, o semplicemente è uno che fa bene il mestiere dell’osservatore. Me lo sono immaginato come un attacchino di manifesti funebri. Di sicuro, leggendo queste pagine ho riso, amaramente, ma ho riso, perché certi “affreschi” sono così aderenti alla realtà che viviamo quotidianamente, che solo chi vuole rimanere nella propria “cecità” non riuscirà a riconoscere.

In fin dei conti, come non si può sorridere leggendo le impressioni di chi ha tutto pur ammettendo di non riuscire a stringere nulla, o di colui che è confuso su ogni cosa, pur dimostrando sempre una cronica sicurezza?

Insomma, il libro di Santoni, ultima versione di un progetto che lo scrittore ha cominciato nel lontano 2004, è un interessante esperimento letterario; lontano dalla solita interpretazione che si vuole dare alla precarietà dei nostri giorni e che tende a fare di chiunque una vittima dai tratti “fantozziani”. Qui c’è qualcos’altro, come la voglia di ciascuno di giocare secondo le regole con la speranza di vincere la partita.

Post correlati