Troppo di niente e altri versi. Vito De Leo e l’impossibile racconto della totalità
Recensione di Martino Ciano. In copertina: “Troppo di niente e altri versi” di Vito De Leo, Gcl Edizioni, 2024
Una poesia sottrattiva quella che Vito De Leo ci presenta. Nei suoi componimenti “in cui ogni verso è composto da poche sillabe”, parafrasando le parole di Luciana De Palma che ha firmato la prefazione del libro, l’autore ferma il tempo e ingessa lo spazio dell’azione, avviando un lavoro di sintesi che mette in mostra anche “la difficoltà”, di fronte alla quale tutti ci troviamo, di comunicare correttamente la complessità di un evento.
Arranca il senso in questa operazione, si fa pesante la scelta delle parole giuste, si riempie di perplessità il linguaggio, che, per quanto schietto, è solo capace di dare voce a una parte del tutto. Non è un pessimista De Leo, non è un poeta maledetto, ma è lucido spettatore di uno spettacolo che si sta svolgendo gratuitamente. Non si sente però tra coloro che recitano, perché l’attore sa come finirà la rappresentazione e quale ruolo dovrà svolgere sul palcoscenico, il poeta, invece, trae le sue conclusioni al termine dell’esperienza. È un uomo qualsiasi, quindi vive tutto come accadimento improvviso.
Le persone appaiono/come radiografie di cellulosa/quasi scheletri./Le azioni/sono falsi movimenti/non trovano obiettivi./Servono pensieri,/ma i pensieri/non si coltivano./Si evitano/nuove rivoluzioni./Le scritture spigolose,/diventano inciampi./Le emissioni vocali/sono sfiatate,/non si ascoltano./le parole/ormai, sono/fuori corso,/non corrispondono/alla vita.
“Troppo di niente e altri versi” non è ricerca, ma consapevolezza di ciò che si muove intorno, di ciò che sfugge o è sfuggito per sempre, di ciò che tornerà e di ciò che è andato perduto. In poesia tutto è permesso, ogni categoria, regola, significato e linguaggio possono essere stravolti, piegati alla propria creatività. De Leo invece lascia tutto com’è, perché ha un unico obiettivo: dire la sua verità, vivificare le sue impressioni. Eppure, non siamo davanti a un libro di sentenze, di dolce morale o di ardita distruzione; siamo nel mezzo di un’espressione intima e privata dell’anima che osserva.
Né giudici né imputati, né umanità né disumanità; c’è solo il poeta che si siede all’ombra delle cose, delle emozioni, delle tempeste del cuore e della mente. Immagino De Leo con un taccuino e una penna, mentre annota ascese e cadute della sua anima davanti a ciò che muta in continuazione, attendendo che qualcosa si ripeta allo stesso modo, solo per osservare meglio quell’attimo. Ma ciò non potrà avvenire, e questo terrore per i momenti e le cose perdute lui ce lo mette davanti, con naturalezza.
È per questo motivo che di un “tutto” che diventa velocemente “niente” possiamo conservare qualsiasi cosa solo nella memoria. Ma anche in questo luogo, elevato a scrigno magico, il “troppo” si fa rapidamente “niente”, ossia un evanescente essente destinato al trapassato.
Le corse/sul video/sono le stesse/che sento/per la strada./Il bambino/si diverte/allo stesso modo,/ma non corre./Gioca la partita/per essere occupato./Non ha importanza/chi sia dentro/chi sia fuori./Non si vince!