Dubbi, lacrime e interferenze oniriche…

Dubbi, lacrime e interferenze oniriche…

Prose di Rocco Giudice. Foto di Martino Ciano

Sui dubbi nuvolosi e gli affanni raziocinanti

Leggendo i lampi come una scrittura, una folgore sforbicia la notte – ma sono solo le tue ali che ha mozzato. Perciò, devi piegarti e trascinarti sotto un cielo al cui riparo i fulmini, stremati, corrono a riposarsi, le statue, anchilosate, si sgranchiscono. Ma ogni lume riverbera dal sole e l’ombra che ora ristagna sul Creato sa che non diventerà mai tenebra notturna. Si può vivere nell’ombra, se si ha una luce nello sguardo?

Acqua, lo inondi con le lacrime

Cade la pioggia o si rovescia una cascata di fiori che non smettono mai di sbocciare e solo sulla sua carne attecchiranno, finché non verranno a disfarsi prima che diventino un abito, prima che qualcuno li colga piangendo per non vederli appassire come lui farà e come farà chi lui ama – perciò non può uscire dalla roccia più che dal disegno e dalla mente che non se ne libererà.

Il custode dello specchio

Un pupazzo addormentato in mezzo a un avanzo di giardino d’ortiche e d’orchidee intraviste tra le fibre d’un arazzo e che racconta a chiunque venga a risvegliarlo una storia di cui lui solo conosce i segreti – non confondere la tua immagine con chi ne possiede i sigilli.

“Quella verità che ho origliato se n’è andata senza saluto e senza lasciare tracce né messaggi” racconta. “Questo perché non può essere rubato alcun segreto, che solo a rubarlo capisci ch’era tale.”

Non rubargli il suo – non svegliarlo. Non dirgli il tuo – non svegliarti. Mettete sopra questo vuoto la stessa pezza – lo stesso sonno.

Interferenze oniriche

In dormiveglia, leggi a fatica il libro che da tanto di quel tempo tieni in sospeso, che l’amore così esclusivo a esso riservato è cambiato come una tendina sbiadita alla luce della lampada prima che cambiasse l’ora che ogni notte concedi alla lettura, così che la fedeltà a questo rito somiglia a un chiudere gli occhi a tempo – fingendo di non essere sempre tu a decidere quando.

Ma, ora, proprio poco prima di chiudere libro e occhi, perdi il rigo e ti perdi lungo il filo di una corrente onirica di cui non ti eri accorto ti teneva stretto fra immagini che non riesci a fissare – come le parole che compaiono e scompaiono sulla pagina, confusa allo schermo balenante dove molte storie premono per accadere.

In mezzo a esse, mentre le immagini si sopraffanno senza scorrere, tranne che qualcosa le agita oltre una quinta cuki fanno schermo, c’è un luogo affollato dove tutti sono di spalle mentre si dirigono verso un’uscita.

(Dove li condurrà, cosa o chi li aspetta oltre quella soglia, di cui tu non saprai nulla).

D’un tratto, qualcosa li blocca e tutti rimangono fermi dove sono, in attesa che qualcuno arrivi o che qualcosa accada: quando uno, uno dei tanti immobilizzati nella ressa, uno che non ricordi di avere mai visto, che non si preoccupa neppure di somigliare a un altro o a chiunque: uno che non si cura neanche di lasciare che un indizio spieghi il motivo per cui stare lì, almeno nel suo caso, a aspettare, forse, di trovare ospitalità in un altro sogno dopo essere entrato nel tuo per la dubbia funzione di sostituto di qualche altro di più memorabile: lui solo si gira verso di te: e come se ti vedesse, sorride nel modo in cui si sorride a chi sta facendo una cosa buffa: e tu riapri gli occhi giusto in tempo per sentire il libro caderti dalle mani.

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