Stefano Biolchini, Virginia nel cassetto, Caffè Orchidea
Recensione a cura di Martino Ciano – già pubblicata su L’Ottavo
Ci sono storie che il tempo seppellisce e che involontariamente gli uomini riportano alla luce. Alcune di queste confermano convinzioni ataviche, come se lo spirito che guida le epoche fosse specchio della necessaria predestinazione che le muove; altre invece sono state semplicemente archiviate frettolosamente, fin quando non arriva un nuovo giorno del giudizio che dà a tutto il giusto valore.
Appartiene alla seconda categoria la storia di Virginia, rampolla dei Corsini, famiglia della nobiltà sarda. Lei è una donna d’altri tempi, lontana dall’educazione del ventennio fascista. È una girovaga in cerca del suo posto nel mondo e testarda come solo i sardi sanno essere. La sua vicenda è tragica, ma come tutte le tragedie è guidata dalla passionalità, dalle emozioni, da un alto senso della giustizia.
Il romanzo di Biolchini è un piccolo diamante che squarcia il drappo nero di una letteratura sempre più impegnata nel raccontare sé stessa che non storie. L’autore è legato sicuramente alla tradizione della sua terra, sprazzi di Deledda e di Satta appaiono in più occasioni, e questo non è un male. Qui, infatti, parliamo della dura ruralità, di emozioni bucoliche, di onore e rispetto che devono combattere contro il pregiudizio, di vite che il tempo inghiotte e di cui restituisce gli scarti, di un mondo che non c’è più e di cui a volte si può sentire la mancanza.
Se è vero che la letteratura ha anche il compito di sfidare le epoche e di estrapolare dalla pancia del tempo ciò che ancora non è stato assimilato, allora, il romanzo di Biolchini è riuscito perfettamente nell’intento, visto che, come in Satta, non capiremo chiaramente se tutto sia frutto della fantasia o se qualcosa sia realmente accaduto, ma, di sicuro, comprenderemo che la storia necessita di riscritture. Proprio per questo motivo, lo stile dell’autore ci riporterà tra linguaggi remoti, tra paesaggi antichi, tra nobili ideali, tra qualcosa che ancora chiede di essere raccontato, perché mai esiste un giudizio definitivo.