Il soccombente. Thomas Bernhard e le variazioni del dolore
Recensione di Antonio Danise. In copertina: “Il soccombente” di Thomas Bernhard, Adelphi, edizione del 1999
Pensai di scrivere qualcosa su Il soccombente di Thomas Bernhard, il libro che stavo leggendo da giorni nella traduzione di Renata Colorni. Ma erano solo pensieri vaghi, del tutto generici, senza un filo logico, qualcosa che non riuscivo a seguire.
Pensai di cominciare da un punto, come fosse l’incipit di un testo e così ben presto anch’io mi ritrovai senza sapere come all’interno di una locanda. Non che avessi idea di cosa farci ma sempre meglio che passare le notti fuori, pensai, anche se era estate e le temperature non scendevano da giorni ormai sotto i trenta gradi.
Da quella locanda, non visto, osservai la scena che si svolgeva sotto i miei occhi: un narratore che raccontava la storia di tre pianisti. Una delle caratteristiche che più mi ha colpito in questo romanzo è lo stile. Del resto, si sa, in quanto a stile Bernhard è un maestro.
Ci sono tre amici pianisti che frequentano a Salisburgo un corso tenuto da Horowitz e che presto prenderanno strade diverse. Fra i tre ce n’è uno che subito si distingue dagli altri per bravura. Si tratta di Glenn Gould, genio inarrivabile. La consapevolezza della genialità di Gould porta gli altri due amici a fare delle scelte radicali.
Incapaci di raggiungere le vette del virtuosismo di Gould, messe in evidenza nell’interpretazione delle Variazioni Goldberg di Bach, l’uno, Wertheimer, definito dallo stesso Gould come Il soccombente, da cui il titolo del romanzo, in esito a un lungo e lacerante travaglio interiore, si suicida. L’altro, il narratore, in cui si potrebbe intravedere lo stesso Bernhard, ammette che non potrà mai arrivare a confrontarsi con l’amico più dotato e sceglie semplicemente di disfarsi del pianoforte e dedicarsi ad altro.
Ma dicevo dello stile. Per dar conto dello stile di scrittura di Bernhard parto dalla definizione di Variazione (in musica) proposta da Wikipedia: “La variazione è ogni riproposizione di un’idea musicale in cui essa subisca modifiche, più o meno profonde, rispetto alla sua forma originaria.”
Ne Il soccombente la variazione è anche ripetizione ossessiva e ossessionante di concetti, di fatti, di episodi, di avvenimenti, di eventi con i quali noi lettori entriamo talmente tanto in confidenza per il fatto di leggerli decine e decine di volte lungo il testo del romanzo, concepito come un unico e lunghissimo flusso di coscienza, in cui affiorano ricordi riproposti ogni volta con poche e impercettibili variazioni linguistiche, e che il narratore tiene insieme presentandocele in maniera reiterativa attraverso l’impiego asfissiante del verbo “pensai”, che alla fine ci sembra di restare invischiati dentro la storia senza che riusciamo a intravedere una possibilità di venirne fuori in alcun modo, rimanendo come intrappolati in questo monologo interiore per tutta la lunghezza del romanzo.
“Dopo essere stato abbandonato dalla sorella, pensai, Wertheimer non aveva altra scelta se non quella di togliersi la vita. Voleva pubblicare un libro ma non c’è riuscito perché ha seguitato a modificare il suo manoscritto, lo ha modificato talmente spesso che alla fine di quel manoscritto non è rimasto più nulla, in realtà i cambiamenti del manoscritto altro non erano che la totale cancellazione del manoscritto stesso, di cui alla fine non è rimasto che il titolo, che era Il soccombente.”
Ogni lettura di un romanzo di Bernhard è un’esperienza che segna, che non lascia indifferenti. Che provoca un perturbamento, per citare il titolo di un altro suo romanzo, forse quello più noto.