Elias Canetti. Un gigante del pensiero incandescente

Elias Canetti. Un gigante del pensiero incandescente

Articolo di Nicola Vacca. Foto di copertina tratta dal web

Nell’opera di Elias Canetti il pensare per frammenti ha occupato un posto di rilievo. Per mezzo secolo e oltre, lo scrittore e filosofo, alla sua speculazione, ha affiancato la costante frequentazione dell’aforisma. Per tutta la vita ha riempito senza tregua quaderni di appunti e, con la brevità del suo pensiero, è stato sempre folgorante e tagliente come un vero aforista deve essere.

Nel 2021 Adelphi, con il titolo di Appunti. 1942 -1993, ha riunito tutti i libri di aforismi pubblicati in vita da Canetti.

Canetti è stato uno dei pensatori più incisivi del Novecento. Canetti, esegeta di se stesso, scrittore che non ha mai tradito la coscienza delle parole, è bene informato sul rapporto che intercorre tra il grottesco e la paura.

A trent’anni dalla sua scomparsa lui è ancora uno straordinario irregolare, un autore controverso che ha saputo, con una spiccata libertà di pensiero, fustigare le contraddizioni del suo tempo. Quello di Canetti è sempre un pensiero incandescente e ribollente per la sua intensità. Un pensiero duro che pugnala.

Da Auto da fé, il suo unico romanzo, a Massa e potere ogni suo libro è un’ascia nel mare ghiacciato, una provocazione che si insinua in ogni piega delle cose. Del potere ha saputo smascherare gli intenti perversi, dell’esistenza ha svelato il cuore segreto dell’orologio.

Dalla critica è stato definito uno scrittore internazionale in senso europeo: Canetti scrittore non omogeneo, mai sistematico, il suo amore per la letteratura lo porta a essere cosmopolita che trova l’identità in una lingua da salvare. Nella sua esistenza in continua emigrazione, la letteratura resta il suo punto fisso, la riflessione che ripudia ogni sistema è il cuore del suo modo di pensare e di agire.

Massa e potere (1960), nella sua straordinaria capacità di nascondere le sue quasi seicento pagine nelle pieghe della cultura europea, è un’opera titanica; uno di quei libri che afferrano i secoli e li scuotono dalle fondamenta. Un saggio che dà la caccia al potere in tutti gli anfratti e lo riduce, alla fine, alla più nuda nudità, alla flaccidità tremebonda e assassina del sopravvissuto, del “potente” che uccide infinitamente non per forza e crudeltà, ma per la più squallida e abietta paura.

Un libro che guarda la morte stessa negli occhi dalla prima all’ultima pagina contendendole ogni centimetro di terreno, senza arretrare mai, senza fare nessuna concessione, senza mai avvertire nella lotta contro il nemico, per eccellenza invincibile, alcun senso di sconfitta.

Un libro che scava fino alle radici di tutto ciò che tocca, che insegue, bracca, cattura l’essenziale in tutto ciò che è umano. E anche dove non si è convinti, anche dove si è quasi spinti a lottarvi contro, anche dove si resta insoddisfatti di fronte a magnifiche idee lasciate a metà (una per tutte: la metamorfosi), è uno di quei libri che danno una straordinaria, benefica sensazione di luce limpida e aria pura.

A sessantaquattro anni dalla sua pubblicazione Massa e potere sembra scritto oggi.

Auto da fé, il celebre romanzo, è un libro duro, eccessivo, grottesco, farneticante, comico, crudele. È la narrazione del deliro che ha al centro l’uomo sospeso tra la vita e la morte, tra salvezza e dannazione. Una lucida ossessione in cui Canetti non si risparmia fino a arrivare a un pensiero estremo che sfida la morte.

Auto da fé è un romanzo grottesco, assurdo, colmo di ossessioni fino alla paranoia in cui si coglie lo spirito drammatico di un’epoca e lo spirito drammatico dell’uomo imprigionato nella gabbia della Storia.

Ne La provincia dell’uomo (un libro sorprendente in cui Canetti salva la sua lingua nella scrittura breve, sostenendo che si deve trarre la propria morale da una vita esposta al pericolo, senza avere paura di alcuna conseguenza, purché quella morale sia giusta) scava con parole incisive e mai scontate nel dramma dell’esistenza, sconfessa gli imbonitori che vogliono sempre proporre una morale basata sulla verità che sostengono di avere in tasca, mette in croce l’uomo che crede sempre di essere infallibile e mai vulnerabile davanti all’assurdo dell’esistere.

Questo libro contiene pagine dei quaderni di appunti che Canetti ha raccolto negli anni 1942 – 1972.

«Trent’anni di vita consapevole sono un periodo lungo. Mi premeva fare io stesso una scelta dai testi di tutto questo periodo e pubblicarla. Comunque siano stati quegli anni – e non ho mai taciuto i loro errori, che ho provato come miei -, devo essere grato di averli vissuti da sveglio». Ecco cosa scrive nella premessa Canetti a proposito de La provincia dell’uomo, libro che può essere letto come un rendiconto di un’esperienza esistenziale, l’esercizio quotidiano di un pensatore che naviga nel mare del dubbio.

Canetti in queste pagine presenta la vita nelle sue crepe, perché le crepe appartengono a tutti, così ciascuno può prendersi senza cerimonia la propria parte.

«Ci portiamo dentro di noi la cosa più importante per quaranta o cinquanta anni prima di osare dirla in modo articolato. Già per questo non si può calcolare quel che va perduto con coloro che muoiono precocemente. Tutti muoiono precocemente»; «Sembra che gli uomini provino più sensi di colpa per i terremoti che per le guerre che essi stessi fomentano».

La provincia dell’uomo è un libro fondamentale e Elias Canetti, uomo e scrittore che in vita ha combattuto una guerra contro la morte, è un gigante del pensiero. Leggiamolo sempre.

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