Sipario al blu cobalto
Prosa di Mimì Burzo. Questo pezzo è stato estrapolato dal sito dell’autrice
La città è sempre sveglia. Il caldo, umidità. Può darsi che piova allora i balconi sarà più facile pulirli. L’assenza comporta accumuli e detriti. Spesso organici. Di piante, siepi, verde improvvisato, verde curato, verde spontaneo. Un po’ per maestosità, un po’ per meraviglia, un po’ per protezione. Un po’ per illudersi che appena fuori non ci sia catrame, su catrame, su catrame.
L’uomo moderno viaggia in macchina e ha la pancia grossa. Alcuni si oppongono e vanno di corsa e così i polmoni si aprono come finestre sull’ultimo sole di ottobre.
L’assenza corrompe. Chi ne fa manifesto è debole. Tanto mondo è debole semi nascosto da corazze che all’occhio attento cedono facile il passo all’immagine più vera di un fantoccio buttato cosi sull’apparenza come una vecchia lo scialle sui reumatismi.
Tanto mondo regna lungo confini innalzati per giustificare un ego dispotico e incapace.
In ogni confine regna l’incapacità.
Il bar tabacchi è aperto fin dalle prime luci dell’alba. Fumare non è un bell’affare ma sempre meglio di quel darsi morti in vita che fa tanto sciocchezza messa in bella posta con le chiavi di casa sulla toletta traballante nell’ingresso appena entri. Se la morte in vita arde di definitivo come la morte in morte, auguriamoci che sia così e così sia. Troppa debolezza nuoce all’animo e alla ragion d’essere e soprattutto di sapere.
Sapere è un confine mobile ed elastico. In troppi sanno. Scarse lucciole solitarie sanno sapere di non sapere. Sapere è un verbo buffo se si gongola nella vanità.
Si sterilizzano case e si sterilizzano legami in un mondo ecco un po’ così, alla suvvia!
Mangiamoci una fetta di liberalismo che la foglia è troppo stretta per esser brucata.
Con quanti colori si può assistere un capitombolo versando con il rosso la liquidità degli occhi lungo scoscesità che di arduo hanno poco bagnate come sono di scioccheria.
Un mondo nuovo ci aspetta e noi, i colonizzati, finiremo come Gaza. Schiacciati al centro.
Intanto, tanto sole dovrò camminare prima che il cobalto possa tingermi la nuca ascoltando il colore di una coscienza troppo vasta e troppo luminosa per essere di una donna.
Controversie muschiate al miele d’acero, amarantano il lutto e confondono i commensali.
La città è sempre sveglia e i generali dormono con un solo occhio.
Per specchiarmi mi basterebbe girarmi eppure c’è sempre qualcosa di più azzurro oltre il suono cosmico del rimpianto.
Avere un calco al posto dei denti costa come mangiare il brodo con la forchetta. Tuttavia quanta grazia, quanto amore, quanta’ beltà nel gesto e nell’ultimo pasto consumato in silenzio su un marciapiede imbandito per quei pochi avventori che nel drago vedono una formica e in quattro ossa la bellezza e non il pericolo.
Non confondere lo slancio dovuto per sovraccarico di farfalle sul petto del precipizio con la sciocchitudine di chi crede di sapere senza la carezza della nuvola che spartendo il vento si gioca il potere abbandonando.
A volta abbandono è lealtà.
Molto più spesso manipolazione. L’ego spastico è solo una griglia sulla quale cuocersi a fuoco lento eppure il gioco è dei ragazzini e se ti scotti basta aprire una patata.
Non aspettare che piova per pulire i balconi che l’asse della terra cambia rotazione e gli orsi bianchi muoiono non solo perché l’uomo moderno è un grasso ciccione.
La polvere in controluce si annoda alle particelle.
Fare un nodo al fazzoletto fare un nodo alla terrazza, fare un nodo alla morte, fare un nodo alla lingua dei maghi, fare la lista della spesa che solo un ingenuo si attacca alla dimenticanza. Nulla si dimentica, tutto si contrae in un brodo quantico di un tal candore che il ghiaccio al confronto solletica appena la papilla e gli ippocampi.
Cosa potrà mai saperne un minotauro dell’elica a retroazione dissociata di un’isola di neurodivergenza che dal cencio psichiatrico si è fatta gioiello e perla subacquea.
Che gli ombrellai erano pazzi non per poesia ma per il piombo e un occhio strabico non è sempre un difetto. Le cortecce di allineano e cambiano asse e vedono che non è oro ciò che luccica ma la disperazione profonda del mattino che non si sveglia mai.
Solo la pietà giustifica il mezzo. Non bagnare il cristallino, l’argilla non è più spessa della sabbia e la musica arriva sempre da un solo orecchio: se non penso, me ne accorgo e se ci penso mi distraggo. Dormiamo ancora un po’ sui balconi fioriti di abbandono. Anche la polvere ha la sua ragione se la si osserva senza interpretarla.