Prescelta

Prescelta

Racconto e foto di Adalgisa Giannella

“La nostra mente rifiuta di mettersi addosso cilici segreti”
Dacia Maraini

 

Fonzo ci venne a fare la dichiarazione a don Cicco, padre di Ninnuzza, la mattina del 12 aprile 1975, al garage di 650 metri quadri con maiolica a terra, mentre questo sistemava, tra lattine di benzina e ruote stortiate, il vino suo, datato 1965. Il vino che faceva tredici gradi e rimbambiva molli e sfraccunati, persino la banda di compari che per poche lire avrebbe ucciso padri e madri, non lo resisteva “Nannuzza 55”.

Trecento bottiglie che avevano ballato la tarantella sul furgone di Gennaro il nipote, felici ora di riposare tra puzzo d’olio e mestruo di femmine arruvuotate da don Cicco a sera tardi, quando Luna mogliera, appulizzava casa dopo cena, cantando o sole mio sta n’fronte a te e lui s’addivertiva colle puttane, pagandole cinquemila lire l’ora per scemenze e oscenità.

Donne misere che sarebbero morte di fame e pure di frutto. Tutte incinte coi grembi dilatati, le carni smagliate per criature malnate e senza padre. S’era acceso una sigaretta il giovane Fonzo e il fumo aspirato con i polmoni suoi, uguali a quelli di nonno Silvo che li aveva mantenuti giovani dopo cent’anni di fumo, gli arrovotava lo stomaco, perché aveva fumato pure dopo aver deflorato Ninnuzza nel fienile.

Il ricordo era fresco

Delle urla arrivate al cielo e pure al Tirreno profondo lì vicino. Le urla che tutto il paese aveva ascoltato con cuore pesante e senza obiettare, perché quello se la voleva sposare, e urlare doveva, e sanguinare sul lenzuolo immacolato, steso per terra, la prescelta.

A Fonzo glielo aveva spiegato bene papà suo, don Antonio Splicato boss di Agrisanta; paese che di santo aveva solo la croce di Agria martire, posta sopra il casotto ferroviario, fantasma dal 1950, con un binario morto e sopra due vagoni pieni di ossa sconosciute.

Gli Splicato si dovevano alliare coi Piccirillo se volevano il monopolio sullo sfruttamento delle prostitute e il traffico di cocaina dentro il Vasto di Napoli. L’avevano deciso quando Fonzo aveva tredici anni e Ninnuzza otto, perciò non ci stava niente da dire. La cosa brutta era che lui la voleva bene a Ninnuzza e lei no. Femmina d’alterigia era diventata. L’avevano fatta studiare a Napoli la litteratura che manco sapeva che fosse, e da allora si era immugugnata e neanche lo parlava più.

Ci faceva male la lontananza di quell’amore bambino e quando era tornata bella e fimmina, lo scrutava come fosse Nerone il somaro che lo portava ai campi, tale lo concepiva madama Ninnuzza a lui, dalla littiratura in poi. Dalle camicette di seta rossa i seni esplodevano, i capelli oro erano talmente ricci che sembravano nidi di vespe, per non parlare della camminata con i fianchi che si muovevano provocatori ad ogni passo, facendolo impazzire.

Ninnuzza spargeva voglie a tutti quanti senza farsi toccare

La voleva e non poteva, perché c’erano stati altri pretendenti dentro la casa dei Piccirillo, e tutti bravi e tutti benestanti e pronti con la parola, a differenza sua, che pareva un babbeo toccandosi ogni volta che il desiderio si faceva malatia. Ma lei era la santa dentro al quadro, che per quanto l’ammiri non si muove e ti ammalia e ti sale u verme rabbiuso in petto che si mangia cuore e cervello; e poi tieni solo voglia di ammazzarla Ninnuzza, quando sguaiatamente ti dice che vuole British man, Alan, biondo, alto e littirato come lei.

Così quando il padre l’aveva abbracciato e abbabbiato che di Ninnuzza poteva fare quel che voleva, tanto don Cicco non avrebbe lacrimato, Fonzo l’aspetta sui campi gentili di grano dove madama passeggia ogni giorno con le mani attorno a un libro grigio melanconia.

L’acchiappa e ci mette tutta la forza in quell’amore. La blocca nel fieno, ci alza la gonna e entra tra le gambe rosate che si fanno rosso sangue. Ninnuzza rimane a terra, urla, urla come sapesse che il padre l’ha venduta come una miserabile.

Solo una frase gli schianta al petto di Fonzo.
“Maiale di merda, ti ammazzo prima o poi!”

Gli occhi di Ninnuzza belli!
Due proiettili giunti a destinazione.
La sposa a luglio, davanti a San Gennaro.
Ci prova Ninnuzza a dire no, ma il parroco fa finta di niente e li benedice.
L’organo attacca l’Ave Maria e la poveretta si sente deflorata due volte.
Succede una volta e succede ancora.
Più lei si fa torta, più Fonzo la vuole, mentre di notte la luna è falce, mai piena.

A luna prena, s’arrotonda pancia

Glielo dice la madre e si prepara Fonzo, pur di avere un figlio.
Ninnuzza la guarda quella luna liscia d’avorio.

Pare piena d’aria e ammalia, neanche si accorge che è tonda quanto un giro di compasso, che segnata è la sorte sua, mugliera costretta e pure madre deve diventare.

Il 14 agosto è plenilunio. Fonzo ci fa l’amore fino al mattino, poi si addormenta a suonno chino, perché il dovere c’è stato. Lei si alza. Corre in bagno a vomitare, una, due, cinque volte. Velocemente fa una doccia e s’improfuma, scende in giardino dove ci sta Alan.

Addosso porta solo una mutanda di seta bianca e lo scialle di nonna Sunta. Neanche lo bacia. Fa scivolare lo slip sull’erba e lo spoglia. Ci si mette sopra e gode fino all’alba, sfinita di desiderio. Si sente maschia e nient’affatto dilicata Ninnuzza la prescelta, che si sceglie pazza e scriteriata per dare l’esempio a quei meschini che la vita se la fa lei e non la camorra mbrugliata.

Un mese appena e Ninnuzza rimane incinta.
Se la ricorda bene la notte infelice.

Fonzo che nei giorni controlla l’astro finché non è colmo, che quando succede pare pazzo, mentre la trascina in camera e a forza gode, miseramente gode, dieci, quindici volt, mentre a Ninnuzza esce un sorriso che pare di soddisfazione, ma orgasmo non è. Le lenzuola imbrattate di sperma le brucia nel bidone di ferro il giorno dopo assieme a Lucia la cammeriera, che viene abusata dal padre di Ninnuzza da piccirella.

Pare diventata paccia mentre ride alla festa battesimale, quando Fonzo solleva Antonio junior che a sei mesi pare un vichingo tanto è biondo e chiaro, niente a che fare con Piccirillo Splicato, urlando “U figlio mio, sangue do sangue mio!”

Ride Ninnuzza prescelta che si è scelta di fare danno a due famiglie camorriste battendosi sul campo con le stesse armi: mbroglio e violenza.

In guerra ci mette Lucia, Grazia, Immacolata, Antonietta, Rosaria, e tutte le donne sacrificate e mai arrese ai voleri di Piccirillo e Splicato. Le donne sue sono pronte anche a uccidere pur di uscirne vittoriose, e pure lei che intanto continua a cucinare, a crescere il figlio, a cucire, ma anche a leggere, a smaniare. Tramite littiratura e leggi si tiene informata per attaccare come tigre camurristi e predatori.

Arriva il giorno benedetto.
Fortuna vuole ca c’esistono anche uomini gentili.
Gaetano è uno di loro.

Maresciallo da vent’anni del Vasto di Napoli, non desidera pigliare mariuoli, drogati e vagabondi, ma chi li affama questi qua. Chi porta malaffari sui marciapiedi con guaglioncelle rubate alle famiglie e vendute per migliaia di lire a malati arricchiti e scellerati violenti. Quelli desidera più di altri, ma nessuno li spia, nessuno li vuole scoprire, perché la paura lavora più di sermoni e cuscienza.

12 aprile 1985

Neanche c’entrano tutte quelle femmine alla caserma Vasto, ma a Gaetano ci piacciono subito, in particolare Ninnuzza che si fa spazio con Antonio in braccio, perché pare la contentezza fatta persona, mentre sbatte sopra la scrivania la cartellina gonfia di fogli, di riferimenti, di fotografie, di cassette registrate, di intrallazzi camurristi della famiglia sua.

L’affetto per le innocenti toglie il peccato e le perdona. Tutta Napoli le vorrà bene quelle donne forti figlie del coraggio, nate orfane malgrado le famiglie. Altre erano le missioni per le quali nascere. E l’ineluttabilità è un concetto esclusivamente di femmina sociale, che niente ha a che fare con martiri e madonne, principesse e madri. Forse giustiziere e neanche quello credo.

Prescelte è il termine giusto.
Da qui comincia l’avventura.

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