Il ramo e la foglia: cinque domande sul mercato editoriale

Articolo e intervista di Martino Ciano. In copertina, da sinistra verso destra, Roberto Maggiani e Giuliano Brenna, editori di “Il ramo e la foglia”
Non chiamateli piagnistei, perché questa parola si usa in maniera impropria in quest’epoca di “tolleranza” attraverso cui si crea una fittizia democrazia e una modesta libertà di azione per le minoranze. Anzi, la tolleranza è la faccia pulita della discriminazione. Ciò riguarda anche la cosiddetta industria culturale, sulla quale si ammanta il comodo vestito degli scopi emancipativi, ma le cui logiche sono simbolo del peggior classismo. Se è vero che di tutto c’è troppo e che, nonostante ciò, si continua produrre, compresi i libri, è anche vero che alla fine tale meccanismo maschera oligarchie, se non monopòli, che non lasciano margini di crescita né culturali né di benessere; figuriamoci, a questi livelli, cosa sia diventata la cultura. Ma di tutto ciò abbiamo voluto parlare con Roberto Maggiani e Giuliano Brenna di “Il ramo e la foglia edizioni”, piccola casa editrice, indipendente e non a pagamento.
In Italia, cosa vuol dire essere una casa editrice piccola, indipendente e non a pagamento come “Il ramo e la foglia”?
R: Principalmente si riduce a “non ti conosco: non esisti”. Ovvero, tutti si dichiarano paladini dell’editoria indipendente, libera e che dà voce ad autori meritevoli ma meno noti, in realtà, alla fine, a essere prediletti sono sempre i soliti nomi e i soliti editori. È molto difficile e faticoso trovare spazio sulla stampa o nelle librerie, perché sconosciuti (semplicemente perché non cercano o non vedono o non vogliono vederti). C’è sempre la frase di circostanza: bel lavoro, bel libro ma alla presentazione/in vetrina/recensione mettiamo un autore di una major.
Un autore si rivolge a voi, poco ne sa del mercato editoriale, e ci può anche stare perché non è il suo mestiere, però accampa pretese che solo una major può garantire. Che si fa in questo caso? Logicamente, tale domanda contiene anche la sua dose di sarcasmo, perché vorrebbe evidenziare un “tipo culturalmente indipendente”, quale lo scrittore, che in Italia è oramai prossimo all’estinzione.
R: Fortunatamente ce ne sono ancora, ci sono autori che conservano una certa indipendenza e hanno interesse a pubblicare e a essere sul mercato senza cedere alle mode, per lo più imposte dalle major. Naturalmente, spesso gli autori non hanno ben presenti i meccanismi del mercato editoriale e i vari stadi della pubblicazione. Molti pensano che una volta finito il manoscritto, si stampi e il libro appaia in tutte le librerie. Non è così, ci sono molti step, tra cui il passaggio della rete promozionale nelle librerie per presentare le nuove uscite, il tempo per le prenotazioni da parte dei librai, la stampa, la distribuzione eccetera. Sono questi passaggi che ci accomunano alle major, anche noi abbiamo una rete promozionale e un distributore a livello nazionale (sul nostro sito è scritto tutto). A volte ci tocca spiegare all’autore il motivo per cui se anche il libro è pronto non può uscire l’indomani, ma deve rientrare in un piano editoriale che tenga conto di tutti i passaggi. Aggiungerei che alcune case editrici a pagamento hanno un po’ distorto il concetto di editoria indipendente e molti autori che sono passati in quelle situazioni sono giustamente diffidenti oppure si immaginano un piccolo editore come una sorta di tipografia che stampa le copie e le consegna all’autore disinteressandosi completamente del destino dell’opera.
Premi, blasonati o meno; fiere, internazionali o di periferia; ormai, tutto sembra rientrare in un circuito malato a cui “se non partecipi, non esisti”. Insomma, anche in questo caso un piccolo editore deve arrendersi o è necessario avere anche un piano ideologico, oltre che a quello editoriale?
R: Ormai premi e fiere dell’editoria hanno riempito il calendario, è ovvio che bisogna operare delle scelte, dietro la facciata scintillante si nascondono spesso stanze buie, regolamenti poco chiari o poco ortodossi, presenze imbarazzanti. Non bisogna farsi abbindolare ma occorre informarsi e capire bene a cosa si va incontro. Poi è ovvio che partecipare a determinate fiere o premi è importante per far conoscere la casa editrice e dunque i suoi autori e il loro lavoro: spesso le fiere sono un buon modo per presentare ai lettori il catalogo e, soprattutto, nel dialogo coi potenziali lettori si ha modo di testare le reazioni nei confronti delle opere proposte.
Questa intervista non è concordata, infatti, ho solo captato dai social un certo malcontento, non solo vostro, ma di tanti addetti ai lavori. Eppure, ho notato che c’è anche troppa rassegnazione o accettazione. A mio modo di vedere, questo tradisce la missione culturale. Ora, capisco le ragioni economiche, perché una casa editrice è un’azienda, però dobbiamo anche dirci che poco si crede nel potere dei libri. Sembra quasi che ormai siano solo oggetti di consumo.
R: Se ritenessimo i libri beni di consumo o un metodo per arricchirci non avremmo mai fatto gli editori, certamente non così come lo stiamo facendo. Non usiamo gli autori per fare cassa, come molti fanno. Crediamo nel valore del libro, nella letteratura come sostegno importante della società. La prima cosa che ci è stata chiesta quando abbiamo iniziato questa avventura è stata: “Quanti libri pensate di vendere in un anno?”. Noi non abbiamo risposto, ci eravamo preparati sul “cosa proporre” non sul “quante copie”. E così è ancora oggi, quando decidiamo di pubblicare non pensiamo mai a quante copie si potranno vendere, pensiamo al piacere che ne potrà trarre il lettore. Riguardo ai lettori, tra noi diciamo che è più facile vendere una casa che non un libro. Forse anche i lettori dovrebbero osare di più, cercare di più, rischiare di più.
Domanda clou. Piccoli editori contro catene librarie: storia romantica o caterva di bestemmie? Cosa ne pensano i fondatori di “Il ramo e la foglia”?
R. Le “catene librarie” hanno giustamente questo nome che suggerisce qualcosa di chiuso e impenetrabile e che impedisce a molte cose di passare, spesso a essere respinti sono proprio i libri dei piccoli editori, per quella domanda di cui sopra: quante copie si potranno vendere? Invece le piccole librerie indipendenti sono ottimi interlocutori, sebbene ci siano problemi strutturali: lo spazio, i costi, eccetera, che riducono un po’ lo spazio di manovra. In più, a Roma c’è un evento che suscita un po’ di malumore nei librai: Più libri più liberi, perché sostengono sottragga vendite in un periodo importante come la prossimità del Natale. Sicuramente sarà così, ma noi piccoli editori chiediamo ai librai come possiamo far conoscere il nostro lavoro se nelle librerie non possiamo essere presenti per i motivi di cui sopra?