Personaggi dell’Avvento. Un ricordo di Calabria

Personaggi dell’Avvento. Un ricordo di Calabria

Racconto di Antonio Danise. Foto di Martino Ciano

Sono nato e cresciuto non in un paese vero e proprio ma in una casa che, insieme ad altre due o tre, sorgeva lungo una strada che collegava paesi di montagna ad altri sul mare. Questi sono alcuni personaggi che per quella strada passavano e che hanno popolato la mia infanzia.

C’era Don Micu, il pescivendolo, dalla faccia scura, dal volto segnato dal sale e da rughe profonde, che indossava sempre una coppola per proteggersi dal sole e che bandiava per vendere la preziosa merce che teneva dentro due cassette di legno coperte da uno straccio umido e che trasportava su una bicicletta.

Quando mamma sentiva la sua voce usciva in strada e si trovava a dover scegliere fra ciò che era rimasto, dal momento che il pescatore, prima di arrivare fino a noi, partendo dal mare e arrancando su per la salita con la pesante biciletta, aveva già venduto buona parte della sua merce.

A quel punto mamma verificava la freschezza dei pesci rimasti analizzandone attentamente gli occhi e le branchie e, se superavano la prova, cominciava la lunga trattativa per arrivare a un accordo sul prezzo da pagare. Era così soprattutto nei giorni immediatamente precedenti il Natale, quando sulle tavole, come da buona tradizione, il pesce era un ingrediente che non poteva assolutamente mancare.

C’era poi il clacson prolungato del panettiere che dalle nostre parti arrivava e si faceva sentire all’incirca all’ora di pranzo. Don Ciccio trasportava le varie forme di pane con un furgoncino chiuso e non sapeva cos’era una bilancia. Il pane era venduto a pezzi e non a peso.

Quando sentivo il suono del clacson che annunciava il suo arrivo attraversavo la strada e gli indicavo la quantità e il tipo di pane da comprare: Ha detto mia mamma di darmi quattro panini e una palatella. Tutti i giorni la stessa scena. Unica eccezione la vigilia di Natale, allorché compravamo la cuddura c’a ciuciulena, che però bisognava prenotare almeno una settimana prima.

Era un tipo di pane a forma di ciambella, tipico di quei giorni e ricoperto in superficie con i semi di sesamo, che io e papà inzuppavamo nel brodo, a colazione, il giorno di Natale. E poi, una volta l’anno, un panetto di lievito di cui il buon panettiere ci faceva gentile omaggio come premio fedeltà.

Durante il periodo dell’avvento, soprattutto a partire dall’otto dicembre e fino a Natale, si sentiva per le strade il suono dell’organetto diatonico con cui il pastore annunciava la nascita del Signore.

Indossava abiti da campagna, con sandali di cuoio, i calandreddhi, e vestiti tradizionali in cui predominava il colore rosso e arrivava suonando brani tipici del tempo natalizio. In quel periodo passava tutti i giorni, scendendo a piedi dalla montagna e, quando lo sentivamo, noi ragazzi aprivamo la porta e restavamo ad ascoltare quelle note beneauguranti.

A volte gli offrivamo qualche dolce che mamma aveva cominciato a preparare, delle crespelle, qualche polpetta o un petrale, mentre la vigilia di Natale era consuetudine dare anche qualche spicciolo come ringraziamento e augurio di buone feste.

Nell’elaborazione di fatti avvenuti nel passato sono portato ad attingere a una memoria che a volte può sembrare asfittica ma che invece riserva sempre nuove sorprese.

Questi episodi, queste voci, questi personaggi, che hanno fatto parte del mio passato e che si riaffacciano di tanto in tanto, ritornano per ricordarmi com’ero, come sono stato e come sono cresciuto.

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