Parole davanti a una galleria

Parole davanti a una galleria

Articolo di Martino Ciano. Foto in copertina di Pina Labanca

Mi hanno detto che la scrittura è una questione di punti di vista, la condivisione di uno sguardo sulla vita. È fatta di parole, quindi di interpretazioni. Alcune parole sono uguali per tutti e per tutti hanno lo stesso significato, ma è l’ordine che fa la differenza, il modo in cui le impieghi e le scegli che esprime qualcosa in più di te rispetto a coloro che leggono. E sebbene il narratore faccia di tutto per scomparire dietro di loro, egli è sempre lì, irremovibile e incapace di togliersi dalla scena. Un narratore ha il diritto di morire solo dopo aver concluso il suo racconto, non prima. E lui sa d’essere motore immobile, permanente anche al di là del libro. E anche se volesse nascondersi agli occhi del lettore, il narratore userebbe solo degli artefici. È lui e solo lui.

Così mi sono lasciato alle spalle le lezioni dei maestri, le scuole di pensiero, gli assiomi e le teorie che pretendono di governare il caos in cui l’uomo sguazza. Pur non sentendomi all’altezza, lontano dalla Repubblica delle Lettere che giudica, eleva e straccia, da eretico e profano, da anarchico e coglione, ho iniziato la mia battaglia su un campo deserto sul quale non è arrivato e mai arriverà un esercito nemico. Fin dal principio, da buon vigliacco mi sono sentito allegro come un adolescente dopo il primo bacio. Ho fatto l’amore con il vento e con la solitudine.

C’è una galleria di fronte a me. Sento il fischio del treno, ma non arriva mai. Attendo, scruto, mi dico che prima o poi si affaccerà dal buio, ma nulla squarcia l’oscurità. Fa niente, aspetto paziente ciò che solo io vedrò. Intanto, confondo le mie idee, le diluisco, le rendo indistinguibili l’una dall’altra. Me ne frego anche della forza della parola, preferisco quel tale che disse che ognuno di noi parla un linguaggio personale che solo lui comprende… anche quando non mi comprendo.

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