L’odore dei cortili. Giuliano Brenna e l’innocenza ritrovata
Recensione di Martino Ciano. In copertina: “L’odore dei cortili” di Giuliano Brenna, Il ramo e la figlia edizioni, 2024
Mattia e il Capitano Green: un giovane e un uomo in cerca di redenzione e del loro posto nel mondo. Il tempo e la memoria: due elementi che tra loro possono stridere, perché l’uno distrugge e scorre inarrestabile, l’altra conserva e spesso ci perseguita.
Ambientato in Portogallo, a cavallo tra il declino e la caduta del regime di Salazar, “L’odore dei cortili” è un romanzo dal linguaggio delicato, che pone al centro quella difficile ricerca della propria identità che caratterizza tutti, a qualsiasi età.
L’uomo diviene come ogni ente. Lanciato nel tempo egli muta nello spirito e nella carne; può trovare riparo nella propria memoria, ma molte volte essa è crudele. La sua protezione ci fa “ritrovare il tempo che credevamo perduto”, ci permette anche di ritrattare e di riconciliarci con le azioni compiute, ma in entrambi i casi ci costringe a guardarci intimamente come mai vorremmo.
Giuliano Brenna, autore del romanzo, non fa mistero del suo “amore” per Proust e per la sua mastodontica “Recherche”, che lo scrittore lombardo mette lì, tra le pagine, a guardia della sua storia. Questo atto di “fedeltà” non è l’ennesima ridondante allegoria su tematiche che ormai fanno parte del nostro patrimonio collettivo, ma è la sottile rielaborazione di un’affinità artistica.
Brenna costruisce uno scenario complesso, che mette in evidenza come la Storia sia un mare che bagna tutti e che stritola le nostre identità. Mattia è un orfano che attraversa l’adolescenza con ingovernabili tormenti. Il capitano Green è invece un ex ufficiale della Pide, la polizia politica del regime portoghese, che ha simulato la sua morte per poter riconquistare sé stesso, la sua natura. Logicamente, Green non è il suo vero nome, tantomeno la sua vita è limpida.
Tra i due nasce un’attrazione che viene soddisfatta solo tramite il sesso violento, sadico e autolesionista. I motivi sono da ricercare in quel “tempo perduto” che conserva rimorsi, rimosso e ingabbiamenti inconsci. È un romanzo forte quello di Brenna; il linguaggio ricercato ha la capacità di raccontare con estrema precisione fatti e risvolti, assegnando al lettore il ruolo dell’ascoltatore che apprendendo la vicenda ha tutti gli strumenti per poter elaborare la propria opinione.
Grenn e Mattia si influenzano a vicenda. L’ex ufficiale vede nel suo giovanotto ciò che era e anche la sua incapacità di reagire, di non saper rispondere a sé stesso; viceversa, Mattia scruta nell’ex ufficiale il “mostro” che potrebbe diventare se non si riconcilierà mai con il suo passato.
In poche parole, ognuno insegna qualcosa all’altro, anche se quel rapporto è violento e non ha nulla di amorevole. E lasciatemi terminare con un altro appunto: il protagonista del romanzo è proprio l’amore, descritto qui come forza capace di smascherare, come estrema potenza liberatrice, come “verità” che, per quanto oppugnabile, mostra con chiarezza essenza e indole dell’individuo.
Brenna firma un’opera che conserva quello spirito novecentesco dedito all’indagine. La sua scrittura non si ferma alla dimostrazione dei fatti ma degli attimi, di quelle particelle che compongono l’esistenza di ciascuno e che sono infinite.