Lungotevere e un sogno

Lungotevere e un sogno

Racconto di Valentina Ciurleo

Lungotevere è lo sfondo romano, quello dove scorre il Fiume Tevere, legato a Roma alla sua forte valenza storica. La leggenda narra di Romolo e Remo due gemelli appena nati sulle sponde del Tevere, trovati ed allattati da una lupa. ll fiume fu poi chiamato Tevere, probabilmente in onore di una divinità fluviale o un Re chiamato Tiberinus. I Romani erano profondamente coscienti dell’importanza del fiume e hanno amato il loro Tevere fino a considerarlo un uomo vivo. Esso racchiude significati in senso puramente oggettivo e soggettivo. Il fiume ci fa sentire bene, ci attrae, ha in sé un grande valore psicologico. Infatti, secondo alcuni psicologi quando l’acqua è vicina alla mente, induce la produzione di sostanze chimiche che causano reazioni di felicità e serenità. Lungo le sponde del biondo Tevere sono state girate scene di celebri film. Da Corso Francia a ponte Milvio per “Tre metri sopra al cielo”, poi ponte Duca Amedeo d’Aosta per “Ladri di biciclette”, ponte della Musica per “Lo chiamavano Jeeg Robot”. Nel periodo estivo offre tantissimi intrattenimenti tra arte e cinema e poesia.

Il sogno sul fiume

Quell’estate mi addormentai sulle sponde del fiume e cominciò il mio viaggio. La terra s’allontanava, sempre più piccola, un nocciolo di ricordi: silenzi d’acqua delineano forme, ricordi bagnati s’inchinano al sole, il fiume calmo ansima inquieto. Il ponte dell’isola sta di vedetta, osserva la linea: all’orizzonte la palla di fuoco. Sensazioni interne, quelle onde danzano i passi della mia vita. Fermo davanti “San Bartolomeo all’Isola”, la stessa procedura, attendevo il cambio di guardia, il saluto del carabiniere e poi pronto a partire. I piedi a terra, a sistemarmi la divisa e il berretto, a ricompormi con il mondo, con l’aria stessa che respiravo. Mostravo la corazza, coprivo l’anima. Pelle segnata, testimonianze del tempo, tracce di un percorso che cammina, fragile e combattivo di chi ancora vuole amare. Mi accesi una sigaretta e cominciai ad incamminarmi cercando di convincermi che il caldo era dentro, tra le membra. Eppure non sudavo. Non c’era nessuna goccia. Una raffica di vento fece volare il berretto che urtò i piedi di una panchina in apparenza solitaria. Adagiata su di essa un foulard di seta rosa e blu. Fermo, muto davanti a quella scena , apparve lei. Osservai quei gesti afferrare il foulard che volò tra le sue mani. Quegli occhi, quello sguardo, mi bruciarono in petto. Toccai i raggi del sole con le mie mani. Sveglio con Roma nel petto sapevo che l’avrei rivista.

“Ci sono arrivi che non interrogano le partenze e quello che viaggia fuori non è mai prevedibile, può trovarti impreparato, disilluso o sfiduciato. Viaggia, cammina, procede e ti colpisce, ti avvolge dentro”.

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