La ragionevole follia. Michel Foucault e “la storia della sragione”

La ragionevole follia. Michel Foucault e “la storia della sragione”

Articolo di Martino Ciano

“Forse, un giorno, non sapremo più esattamente che cosa ha potuto essere la follia”. A dirlo è stato Michel Foucault, filosofo francese morto negli anni ottanta, che con il suo saggio Storia della follia nell’età classica, ricostruisce come la pazzia è stata riconosciuta, trattata e curata nelle varie epoche. Se nel Medioevo la follia vive tra santificazione e maledizione, è nel XVII secolo, dopo che il Rinascimento le avrà attribuito qualcosa di mistico, che inizia il grande internamento dei folli.

Ma chi erano i pazzi? Nel Medioevo sono persone che si allontanano dalla ragione e dalla morale del tempo. Nello stesso momento, il Folle vive in una zona di mezzo. Se la sua sragione è mite, allora egli è saggio. Viene vestito con abiti santi, perché è vicino alla Follia di Dio, al Cristo che ha compiuto azioni che furono giudicate insensate. Il degradamento cui giunge l’insensato è peccato e salvezza, ma svela anche quella verità assoluta che l’uomo ha tramutato, con le sue chiavi di lettura, in verità relative e aderenti alle epoche. Viceversa, se la sua pazzia è violenta, allora il folle è figlio del maligno, di un male che tramuta l’uomo in animale.

Anche tra il XVII e il XVIII secolo il folle viene raffigurato così, ma con una variante. La pazzia viene staccata dalla società e rinchiusa in un suo spazio. È un processo che ha finalità etiche, che separa la follia della sua componente mistica. Nei grandi Ospedali vengono internati poveri, libertini, malati di mente, immorali, alienati, insensati. Questi luoghi sono grandi calderoni in cui la follia è tutto ciò che disprezza le regole comuni. Non esiste una cura per i pazzi, ma solo il lavoro e la coercizione. Il lavoro forzato, infatti, toglie tempo all’ozio che, secondo la morale dell’epoca, è la seconda ribellione dell’uomo verso Dio. In questo modo avviene una prima rieducazione che limita i danni causati dalla sragione.

La coercizione, invece, permette che queste persone, paragonate a delle bestie, vengano ammaestrate. Secondo i cronisti dell’epoca, i folli non sono scalfiti dalle intemperie climatiche e sopravvivono, senza contrarre malattie, anche nei luoghi più degradati. Questi fatti provano che la pazzia risveglia nell’uomo la sua natura animalesca, pulsioni che la ragione nasconde o mitiga. Pertanto, si crea l’opinione comune che dalla follia non si possa guarire, per questo, per le persone di quell’epoca, la cura del pazzo diventa un atto di amore verso il prossimo.

Nel XIX secolo la psicologia isola la follia e la tratta scientificamente, ma le influenze del passato agiscono anche sull’evoluzione di questa disciplina. La follia vive solo sul piano della sragione e, anche quando essa diventa ragionevole e opinabile, appare separata da una morale comune che, nonostante tutto, si evolve e si relativizza.

Certamente, stiamo parlando di un corposo saggio, quasi seicento pagine, che ha un piglio divulgativo e grazie al quale il lettore potrà apprendere come il potere muti nel tempo categorie e metodi di catalogazione.

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