Tutto scorre. Vasilij Grossman e la “razionalità” di un massacro
Recensione di Martino Ciano. In copertina: “Tutto scorre” di Vasilij Grossman, Adelphi, 2010. Articolo già pubblicata su Gli amanti dei libri
Scuote l’anima con parole dure e aspre. Racconta con lucidità la vita dei lager russi, toccata ai dissidenti del regime stalinista, ma anche a coloro che si sono adoperati per la rivoluzione. Queste pagine commuovono, fanno riflettere, ma soprattutto non lasciano spazio al revisionismo o al negazionismo.
Tutto ciò che è disumano è assurdo e inutile. Dice Ivan, il protagonista del libro. Lo sussurra mentre cammina per strada, in cerca di una nuova vita e di quel tempo trascorso nelle prigioni della Siberia. Ci spiega nei dettagli il male ordito da uomini che non sanno per chi combattono e in nome di quale causa. Certamente, in loro non è rimasto nulla degli ideali della gloriosa rivoluzione, che avrebbe dovuto ridare dignità agli oppressi. Anzi, prima Lenin e poi Stalin hanno costruito uno Stato che ha sottomesso l’uomo, issando la bandiera dell’odio.
Sono amare le conclusioni di Ivan, che crede nella libertà dell’uomo, nella sua autodeterminazione; mentre odia la rivoluzione dei piani quinquennali, dei lager, del terrore insensato nel nome dell’annientamento dei nemici del popolo.
Ma chi sono i servi del regime? Uomini che inventano dossier e accuse per far finire in carcere persone innocenti, prive di odio, fedeli solo a un ideale di fratellanza. Eppure, nella grande Madre Russia, anche i carnefici possono diventare vittime del sistema. Anche a loro possono toccare in sorte la gattabuia e la tortura.
Tutto ciò che è reale è razionale. Lo dice Hegel, ma Ivan non ci crede assolutamente. Come può la rivoluzione del proletariato aver reso gli uomini bestie emancipate, che mandano a morte, nei lager, donne, uomini, bambini ed ebrei? Che differenza c’è tra il gas nazista e il gelo siberiano riservato a chi ha detto “no” alle imposizioni del regime stalinista?
Viene chiesto ai contadini di lavorare di più, di non lamentarsi per il salario basso, di non riposarsi, di non scioperare, di non tenere per loro qualche spiga di grano. Tutto deve essere consegnato allo Stato, tutto dev’essere fatto in nome dello Stato. Non si possono piantare altre colture oltre al grano e chi disobbedisce viene fatto morire di fame.
E Stalin non si fa scrupoli, priva i contadini ucraini di tutto e i loro lamenti restano inascoltati. E mentre la fame li massacra, la stampa scrive che essi sono dei mistificatori, che con il grano che hanno nascosto potranno vivere per anni. Sono nemici del popolo. I Kulaki… chi si ricorderà di loro?
Di tutto questo ci parla Vasilij Grossman, che quel periodo l’ha vissuto. È nato nel 1905 ed è morto nel 1964. L’autore russo ha visto la grandezza e la miseria del regime comunista, i tempi bui in cui tutte le speranze di democratizzazione della nazione sono cadute nel vuoto. E sempre attraverso le labbra di Ivan, lo scrittore arriva alla conclusione che, dopotutto, la storia della Russia è il manifesto di una dura lotta per il rafforzamento della schiavitù e che, paradossalmente, Stalin ha completato questo processo.
Lo sviluppo russo ha mostrato una strana essenza: si trasforma in sviluppo della non libertà. Di anno in anno sempre più brutale è diventato il servaggio del contadino, sempre più è andato assottigliandosi il suo diritto alla terra; nel frattempo la scienza russa, la tecnica, l’istruzione erano in continua crescita, pari alla crescita della sua schiavitù.
Viceversa…
La storia dell’umanità è la storia della sua libertà. La crescita della potenza dell’uomo si esprime innanzitutto nella crescita della libertà. Il progresso è essenzialmente progresso della libertà umana. Giacché la vita stessa è libertà, l’evoluzione della vita è evoluzione della libertà.
Di questo e altro narra Tutto scorre, apparso nel 1970. Tra queste pagine viene narrata una storia che forse ci piace dimenticare, che ci sembra lontana, che non ci tocca. Eppure, anche se tutto scorre, tutto può tornare, in altre forme.