Foss’anche un romanzo. Letizia Cuzzola e l’estasi della realtà

Foss’anche un romanzo. Letizia Cuzzola e l’estasi della realtà

Recensione di Gianfranco Cefalì

Si può scrivere di qualcosa di inesprimibile? Si può parlare di qualcosa che le parole il più delle volte faticano a giustificare? Si può leggere e scrivere dell’assenza più grande? Si può descrivere una mancanza, un vuoto; alle volte di un vero e proprio baratro? Si può parlare con dolcezza, maturità ed estrema poesia della morte di una persona cara?

Letizia Cuzzola ci prova e ci riesce bene. La morte non ha bisogno di orpelli. Non ha bisogno di rendersi bella, non necessita della nostra bellezza per mostrarsi, per scriversi con le parole. Non ha bisogno di estetizzarsi per rendersi pornografica.

Questo romanzo funziona per un ossimoro, infatti la sottrazione in questo caso aggiunge, l’autrice lavora con una cura maniacale le parole, per asciugare il testo e lasciare le ossa delle frasi come spolpate dall’interno. Ha il grande pregio Letizia Cuzzola di essere vera e di restituirci la sua personale storia, il suo personale viaggio con il candore dell’innocenza e la sicurezza prima persa poi rinata dell’adulta.

Questo libro parla di una morte, ne accarezza un’altra sfiorandone la memoria e parla autobiograficamente di una rinascita, di un nuovo parto, di una nuova figlia partorita dal dolore.

Il libro ci porta dentro vari spazi, quello intimo e personale di Letizia, profondo e bisognoso di essere scavato e raggiunto, mostrato e celato allo stesso tempo, ma ci mostra anche gli spazi materiali che immobili mutano forma a seconda dell’idea sofferta che vuole prendere il sopravvento nella vita. Così potremmo vedere stanze che cambiano, piani sempre uguali, esterni gioiosi o tristi, un vulcano e il mare.

E gli sguardi, occhi che cercano e non trovano, sguardi che si perdono oltre la vista e oltre la vita. Questo libro vela e disvela sia il dolore, la sofferenza che l’inquietudine. Un malessere nascosto che vibra nelle parole, nelle citazioni, nella scrittura di Letizia.

C’è una nudità di pensiero, un mettersi in mostra per nascondersi dietro il dolore, per schermarsi con la mente fredda e il cuore bollente che trasuda e stilla quell’energia malinconica che solo una perdita così grande riesce a far scaturire.

Un’altra caratteristica dell’opera di Letizia Cuzzola è l’ assoluta sincerità. Nonostante la sua sia una prova di bravura, sì, perché dobbiamo dirlo, il libro è scritto maledettamente bene, se ne percepisce quella genuinità, quella forma terapeutica che solo la scrittura può dichiarare e aiutare a fissare per spostare almeno temporaneamente il dolore da tutt’altra parte.

Un libro pieno di nostalgia ma pieno di vita, colmo di uno spirito che incanta il lettore con una storia personale che tende giustamente a farsi universale.

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