I miei stupidi intenti. Bernardo Zannoni e l’umanizzazione

I miei stupidi intenti. Bernardo Zannoni e l’umanizzazione

Recensione di Gattonero

I miei stupidi intenti, di Bernardo Zannoni, edito da Sellerio, è un racconto che vede come protagonisti una vecchia volpe e una giovane faina.
Della volpe, Solomon, si riesce a sapere qualcosa cammin facendo, strappando a morsi le informazioni su quella che fu. Della faina, Archy, sappiamo tutto fin dalla nascita; l’immagine in copertina chiarisce da subito che lei sarà la primadonna del racconto.

Primadonna solo perché non esiste il termine primuomo per indicare un attore maschio. Infatti, entrambi sono animali maschi; maschiaccio la volpe, maschietto la faina, nel rispetto delle misure fisiche e psichiche dei due. Intorno a loro ruota una fauna variegata che si ritaglia un proprio posto nel racconto, e che occupa archi di tempo sufficienti a lasciare l’impronta definita del suo passaggio. C’è anche una breve presenza umana, che si risolve in un lampo, e non lampo per modo di dire: altolàchivalà! e sparo; nella migliore tradizione dell’agire dell’Uomo.

L’intento dell’autore, affatto stupido, è quello di umanizzare gli animali della storia, con gli stessi sentimenti e le stesse problematiche degli esseri umani tradizionali.

Tutti gli animali del racconto rispettano i canoni di tutte le favole, che li fanno parlare, soffrire, godere, piangere, ridere. Ma Solomon prima e Archy, in seguito, sanno leggere e scrivere, ed è una loro prerogativa unica. E queste qualità prevedono la presenza di un qualcosa da leggere, di un qualcosa da scrivere.

È infatti un libro il principale oggetto del desiderio, quello che è mastice di tutto il racconto: per la cui conquista i due protagonisti litigano, si azzuffano, si odiano e si amano; rischiando pure la pelle per difendere quelle pagine che dicono cose che nessun altro animale conosce.

In quel libro è immanente la presenza di Dio; non di un dio, ma proprio del Dio degli esseri umani, quello che fa e disfa a suo piacimento, quello che decide le vite e le morti di tutto l’universo. Ed è la sua ricerca che porta i nostri eroi all’umanizzazione più spinta, con reazioni che comportano quelle che, viste dall’ottica umana, sarebbero imprecazioni o vere e proprie bestemmie, ma che proferite da loro appaiono come invocazioni rivolte direttamente a quel Dio che non conoscono. Preghiere diversamente espresse, alle quali, come nelle migliori tradizioni, non ottengono risposta.

Tutta la storia è godibile già se limitata al solo gusto della lettura, ma quello che attizza è proprio questo inserimento nel racconto dei due elementi che lo caratterizzano: il libro come oggetto prezioso, e Dio, presenza assente, che vuole essere costantemente attenzionato, senza mai esporsi o dare risposte.

 

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