La grande fabbrica delle parole. Agnès de Lestrade e la favola sul controllo della comunicazione
Recensione di Filomena Gagliardi. In copertina: “La grande fabbrica delle parole”, Terre di mezzo editore, Milano 2024. Agnès de Lestrade (autrice), Valeria Docampo (illustratrice), Rita Dalla Rosa, Sara Ragusa e Eleonora Armellini (traduttrici)
Per festeggiare i suoi primi 30 anni di vita, la casa editrice milanese Terre Di Mezzo ha riproposto la traduzione dell’albo illustrato “La grande fabbrica delle parole” scritto dall’autrice francese Agnès de Lestrade ed illustrato dalla disegnatrice argentina Valeria Docampo. L’opera era apparsa in lingua originale in Belgio nel 2009 e Terre di Mezzo l’aveva già tradotta nel 2010.
Una volta, in un paese, ciò che dovrebbe caratterizzare l’uomo nella sua essenza, le parole, non erano appannaggio di tutti. Prova ne era la presenza di una fabbrica che le produceva e che le metteva a disposizione dietro compenso: “In questo strano paese, per poter pronunciare le parole bisogna comprarle ed inghiottirle”.
Ciò le rendeva non un bene democratico, bensì oligarchico, per chi poteva permettersele. Anche perché “Ci sono parole più care di altre. Non si pronunciano spesso, a meno di non essere ricchissimi. Nel paese della grande fabbrica, parlare costa molto”. Ciò costituisce in linea di principio una grande ingiustizia, in quanto la capacità di ciascuno di esprimersi liberamente e al meglio dipenderebbe dai soldi che possiede non dalla propria personalità: la parola sarebbe un merce che si può acquistare come le altre.
Siccome però essa non è mai neutrale, possiamo dire che in un paese come quello raccontato nel nostro albo, non tutti possono arrivare dove vorrebbero con il linguaggio verbale.
Se allora il povero Philéas si innamora della bella Cybelle, ma per dichiararsi alla sua amata può disporre solo delle parole che ha potuto trovare “ciliegia, polvere, seggiola” sarà destinato a soccombere, di fronte al suo contendente Oscar? Quest’ultimo, infatti, in quanto ricco, avrà sicuramente più opportunità di conquistare la fanciulla, potendo disporre dei termini adeguati per una dichiarazione d’amore con i fiocchi: “Ti amo con tutto il cuore, mia Cybelle. Un giorno, lo so, noi ci sposeremo”.
Non rivelerò come vada a finire questa storia. Voglio invece dire cosa essa ci si insegna: essa ci mostra che il tentativo di una società di controllare la comunicazione verbale e dunque di manipolare le persone, non tiene conto di un fattore fondamentale, ovvero del fatto che non è possibile prevedere le reazioni degli altri e i loro sentimenti.
E così, una dichiarazione in pompa magna può restare lettera morta, mentre “ciliegia, polvere, seggiola” possono sortire un effetto imprevedibile, se dette con il cuore e se l’altra persona è complementare a chi le pronuncia. La storia insegna pure che spesso le persone timide ed insicure come Philéas, non hanno meno degli altri e più che le loro parole, conta il loro cuore. Con il cuore, anche usando le parole recuperate dalla spazzatura, è possibile conquistare chi si vuole.
In questa edizione speciale troviamo anche le testimonianze dell’illustratrice e dell’autrice che ci raccontano come sia nato il loro albo. Le illustrazioni sono davvero belle, nelle forme e nei colori, mettono in evidenza tutta la tenerezza tra Cybelle e Philéas; soprattutto il rosso è usato con saggezza a commentare l’amore che giunge dal ragazzo alla ragazza mediante le tre parole magiche, seppur sottovalutate “ciliegia, polvere, seggiola”, ma anche l’amore che lei ricambia con linguaggio non più verbale ma gestuale, con un bacio.
Non a caso il bacio ritorna anche in copertina, anch’essa rossa. Perché le parole da sole sono inflazionate, se mancano i gesti che le accompagnano, le inverano, le realizzano.