“Splendore e abisso di un idillio”. Note di lettura su Ethan Frome di Edith Wharton
Recensione di Antonio Maria Porretti. In copertina: “Ethan Frome” di Edith Wharton
Un idillio spezzato dalla brutalità di una terra che non conosce gentilezza. Un seme che mai potrà attecchire e germogliare sotto le coltri di una natura innevata, il cui gelo scarnifica persino le parole e i gesti di chi vi abita.
Spira un vento ineluttabile da tragedia greca in “Ethan Frome”, breve romanzo o lungo racconto – la stessa Wharton non sapeva come classificarlo – con cui l’autrice di “L’età dell’innocenza” e “La casa della gioia”, per una volta si distacca dal milieu dell’alta società newyorkese, dai suoi salotti e dalle sue frivolezze, maschere e travestimenti di una crudeltà che la pervade dai suoi primordi, pur senza rinunciare a “les incontournables” della sua narrativa: lo scontro tra le convenzioni di una società imbevuta di opportunismo e ipocrisia, e le istanze più autentiche di un’anima determinata a non sottostare a quei riti.
L’inconciliabilità fra ciò che le convenzioni indicano come retta via, e quel buono e giusto proclamati dal cuore. Qui invece, a far da sfondo alla storia, vi sono i territori selvaggi del Massachusetts, specchi e riflessi di destini che arrancano dietro alla fatica, al sacrificio, alla rassegnazione. Ethan Frome ne è il prototipo. La vita ha saputo regalargli solo disillusione e amarezza, logorandolo in un deserto affettivo e incupendolo nelle angustie e ristrettezze di una fattoria a stento tenuta ancora in piedi.
Un uomo che nelle prime pagine appare gelido, chiuso nel mutismo della propria disperazione. Isolato in un villaggio già di per sé tagliato fuori da qualsivoglia via principale via di comunicazione, sembra un animale da soma che trascina il peso da cui è gravato in qualunque condizione si trovi. Eppure, anche nella monotonia inscalfibile dei suoi giorni, limpida e guizzante una scintilla di luce appare.
L’amore tra lui e Mattie prende a scorrere con la medesima spontaneità di un ruscello all’inizio di un disgelo. Ma quale futuro può esservi per loro? Dove mai potrebbero fuggire insieme privi di mezzi come sono? Ethan ha troppi vincoli che lo incatenano: il piccolo appezzamento di terra ereditato dai genitori; la moglie Zeena, donna inacidita anzitempo e sprofondata nella propria ipocondria, tanto da assumere la fisionomia e le caratteristiche di un’invalida.
Mattie è la classica fanciulla caduta in disgrazia a seguito di un rovescio finanziario della sua famiglia. Orfana e senza più risorse, è stata accolta come domestica tuttofare in casa di Ethan, soltanto per un atto di carità da parte di Zeena che ne è la cugina. Ma né il senso del dovere che attanaglia Ethan, né quello di riconoscenza che Mattie non è mai stanca di testimoniare, si rivelano così potenti e persuasivi da farli desistere da quel sogno.
Entrambi lo vivono con la disperazione di chi riconosce in quel sentimento l’unica possibilità di gioia loro concessa. I loro cuori non possono evitare di svelarsi, di inventare una lingua composta dal pudore di sorrisi e di sguardi, per dar forma e forza a un dialogo che nessun altro potrebbe mai udire e comprendere. Certo, soltanto ribellandosi alla sorte, con un gesto estremo e senza ritorno, potrebbero squarciare la cupezza che li opprime, ma esistono vite per cui nessuna condanna pare essere sufficiente. L’ epilogo sarà infatti disumano e spiazzante.
La penna di Edith Warthon rifulge più che mai nel dar conto di tutta questa microbiologia di peregrinazioni dell’animo, facendola ogni volta vibrare in un contesto che mostra più di qualche affinità e somiglianza – i lettori più accorti lo coglieranno al primo richiamo – con un caposaldo della letteratura di ogni tempo: quel “Cime Tempestose” di Emily Brontë.
È come se, scegliendo una ambientazione di genere più” rurale “, Wharton si lasci andare a una passionalità più prorompente e dilagante rispetto ai suoi romanzi più noti. Quella precisione e limpidezza con cui tratteggia stati d’animo e psicologie dei suoi personaggi, qui si stagliano con colorature più epiche, o da tragica ballata popolare. Sebbene si ritenesse un’allieva di Henry James, la lettura di Ethan Frome non ha fatto che rafforzare sempre più la mia opinione che, in realtà, ella gli fosse ben superiore. Parere strettamente personale s’intende.