Chiaroscuro. Manuela Mori e l’amare senza ricordi

Chiaroscuro. Manuela Mori e l’amare senza ricordi

Recensione di Marco Masciovecchio. In copertina: “Chiaroscuro” di Manuela Mori, Edizioni Ets, 2024

In questo viaggio unico e irripetibile che è la vita, c’è chi pensa o crede di vederne soltanto il chiaro (la luce), ma da quella luce viene accecato; c’è chi pensa o crede di vederne solo lo scuro (il buio) e da quel buio viene sbranato. Infine c’è chi dalla vita ha compreso che non c’è uno senza l’altro e che la nostra esistenza si dipana dentro un “Chiaroscuro”.

“Chiaroscuro” è anche il terzo libro di Manuela Mori ed è proprio in questo camminare sul leggero filo dell’equilibrista, tra passato e presente, che basta poco per “sbandare”. Una semplice svista, tutto qui. La Mori però conosce i “ferri del mestiere”, il suo poetare è di una onestà disarmante; è un dolce connubio tra musicalità e parola.

“In questo scollinare di luce/fra barbagli di foglie mature,/l’estate se ne va senza clamore.” oppure “Tornasse il mondo elementare,/quando bastava dire azzurro/per figurarsi il mare,/e giallo, il sole, e rosso il cuore.”

Manuela Mori, laureata in Lettere, toscana di nascita, lombarda d’adozione, vive la sua vita tra Cecina e Milano (tra la sabbia toscana e i navigli milanesi, che si ritrovano e si danno la staffetta nei suoi versi). Oltre ad essere un’accurata e accanita lettrice, ama la poesia sopra ogni cosa.

I suoi riferimenti (o meglio i suoi “maestri” i punti cardinali di riferimento) sono i poeti che hanno rappresentato e rappresentano il meglio della poesia italiana degli anni Settanta. La schiera dei giovani poeti che scrivevano sulla rivista “Prato pagano” di Gabriella Sica, quindi parliamo di Beppe Salvia, Pietro Tripodo, Gino Scartaghiande, e poi Francesco Scarabicchi per l’uso sapiente della parola e della metrica.

Guarda caso proprio a Beppe, a Francesco e a Gino sono dedicati dei componimenti.


A Beppe Salvia

Quanti proseliti, quante innocenti vittime
dietro i riti del metro e del vivere.
Io non ho che questa piccola vita
in questo verso storto, e del metro
non so che la fatica,
la mia colta conquista.
Dell’ardere in queste incudini
m’accontento, io manifesto
il contraddetto, i segni incerti,
lo scarto e l’urto con l’evento,
e mai, vorrei, l’artificio
di piani lessici e gloriosi
compianti dietro a un vetro.


Come dicevo all’inizio di questa breve nota, Manuela in “Chiaroscuro” entra ed esce con lampi di luce e d’ombra. Me la immagino con in mano una candela alla ricerca e con l’intento di focalizzare oggetti e frammenti di vita, chiedendosi e chiedendoci:

“Dove saranno finite le risa di mia madre./Quelle rare risate trattenute/come di chi tema di troppo essere felice,/cifra di una vita che del bene sa tutta la fatica.” oppure “Dite ai miei morti che non sono sola./Mi fanno compagnia i loro oggetti,/muti custodi delle presenze perse”.


Generazioni

Non siamo stati in guerra, da bambini
non abbiamo avuto fame.
le nostre sono state penurie non carnali
che proteggiamo ancora
fra i meandri tortuosi del cervello.
Si dimentica il coltello.
Si protegge la ferita, senza alcun senso.


Chiudo la nota con quest’ultima poesia che mi ha parlato e toccato, non dimenticando di ringraziare Manuela Mori, persona d’una sensibilità e d’una gentilezza estreme, oltre che fine poetessa.

Di quel che passa intorno e vive dentro,
ciò che resta nel mio libro non è tutto.
Gli spazi bianchi sono il tempo fermo,
che non ha colori, sono i vuoti disumani
nei sentimenti.
Non è tutto e non tutto è vero.
Appresi l’arte di vergare il sogno.
Ciò che cesella la mia parola
è anche immaginario.
O forse esiste in questa un’altra vita
già vissuta che sempre torna indietro.

In un tempo tutt’altro che sospeso, ma in un presente vivo, non siamo niente se non siamo capaci di volgere il nostro sguardo su ciò che è stato in “Chiaroscuro”, solo così potremo aprire i nostri occhi verso il futuro.


Se ti è piaciuto questo articolo clicca qui e leggi anche “La Farragine”

Post correlati