Camminare a Sud
Articolo di Daniela Grandinetti
Al mattino esci presto, c’è un sole discreto, camminare sarà una festa. L’acqua del ruscello è allegra, scende a valle con la sua impetuosità montanara. Viene voglia di immergersi in quell’acqua limpida, camminare sui sassi lisci, puliti, levigati. Qui i balconi sono quadri dipinti, fioriti, ricchi, pieni dei colori che hanno i fiori nella loro stagione migliore. Cammini e senti di visitare un mondo che sfiora la perfezione, è così come lo vorresti, ti restituisce armonia; perfino il tè che sorseggi prima di metterti in cammino è intenso e profumato, come la marmellata, che ha la consistenza giusta. Per fortuna esistono posti così, posti nei quali sentirsi bene, umani, adeguati.
I sentieri sono segnati, puoi procedere tranquilla, le facce che incontri sorridono, ti salutano, e tu rispondi, perché così si usa tra viandanti in cammino sui sentieri di montagna. Guardi le cime maestose delle Dolomiti e ti sembra d’essere appena un gradino sotto a D’io, che deve essere là, oltre quelle nuvole che squarciano il cielo cristallino, mollemente sbuffanti e così piene che pensi che lui da là ti osserva, e sta comodo. Sì, D’io – se c’è – deve abitare qui e sorride paterno alle nostre ingenue fatiche di camminatori. Quando la settimana in alta montagna è al termine, sei ritemprata e il tuo corpo ti ringrazia: tutto quassù è perfetto, hai speso bene i tuoi soldi, ovunque tu sia andato sei stato un turista soddisfatto.
Invece camminare a sud è diverso, un altro mondo. Non è solo l’ambiente naturale che è differente: il ruscello scorre sonnolento a valle, chiede acqua, ma ti parla di frescura nella sua ombrosità disordinata. È anarchico, dipende dalla pioggia, dal caso, come del resto tutto, qui. Non ci sono nuvole immense, ma un cielo striato di un bianco puro che ti fa desiderare le nuvole, quelle vere, tonde e grasse. C’è una natura parsimoniosa e ti arrabbi perché ne vedi l’abuso. Qualche rifiuto in giro, ad esempio, che ti dice che qui non ti vendono nessun quadro, nessun sentiero, non c’è merce di scambio. Qui se vuoi te la devi cavare, devi camminare e trovare la strada, magari perderti, per poi ritornare.
Qui camminare richiede fatica, il respiro ha la difficoltà dell’ansia di qualcosa che sta lì in agguato pronto a colpirti: un cane randagio, un colpo di fucile, un sentiero sconnesso, perché è questo che ti raccontano del sud, tanto che ti si appiccica alla pelle e quando cammini sta scritto nel respiro. Qui camminare è “all’improvviso”. All’improvviso il bosco si distende e ci sono alberi le cui cime – e non tu – dialogano con D’io. All’improvviso le felci sublimi e robuste sono un reticolato di verde che riceve i raggi del sole così distintamente che tu quei raggi li puoi contare mentre si posano a baciare le piante, è un ordito di trine intessuto da mani di angelo che dà finalmente pace al respiro spezzato. All’improvviso, in un punto, il ruscello è più prepotente e ti chiama, ti invita a ballare con lui, a levarti le scarpe e percorrerlo amico o magari tenertele e arrampicarti bagnandoti di dolcezza, di acqua fresca e leggera.
All’improvviso gli alberi si fanno sculture, giganti diffidenti che valutano gli uditi attenti e perspicaci e custodiscono antichissimi segreti. Qui non scegli, sei scelto. All’improvviso ti accorgi che hai camminato per ore senza incontrare un umano e neanche te ne sei accorto. All’improvviso. Qui devi saper conquistare, non c’è niente che ti venga offerto solo perché tu, viandante, passi da lì. Devi esplorare bestemmiare e incazzarti, perché qui D’io non c’è, non è come in quell’altro mondo a sorridere bonario e invisibile. Qui lo devi chiamare urlando e imprecando e non sei mai sicuro che ti risponda. Qui sei da solo contro il mondo, e senti che va bene così. Qui manca l’armonia costruita dall’uomo, c’è l’anarchia di una natura selvaggia e innocente che ti chiede un passaggio, e salvezza.
E tu sai che sarai salvo salvandola. Qui – infine – c’è un respiro di vita ruvida e violenta che parla col diavolo. E poi con te. E quando finisce, sei un passeggero ubriaco e incantato, inebriato dalla fame dei lupi mannari.