Antonio Tabucchi. Tra la letteratura e la vita c’è sempre la verità

Articolo di Nicola Vacca
Il 25 marzo 2012 muore Antonio Tabucchi e con lui se ne va uno dei nostri più grandi scrittori.
Tabucchi scompare, ma Tabucchi resta con i suoi libri e noi oggi ancora possiamo colmare il vuoto che ha lasciato leggendolo sempre.
Basterebbe Sostiene Pereira per inserire Tabucchi nella lista degli scrittori da cui non si può e non si deve prescindere.
Tutta la sua produzione è un esempio inarrivabile di straordinarie e irripetibili suggestioni letterarie.
Sotiene Pereira è il capolavoro di un narratore che ha scritto solo capolavori.
Una grande voce critica dei nostri tempi con la passione per il Portogallo e il suo grande poeta Fernando Pessoa.
Tabucchi sosteneva che la vita non è in ordine alfabetico come noi crediamo. Lei appare e drammaticamente scompare come gli aggrada.
Grande artigiano di racconti (indimenticabili le raccolte Piccoli equivoci senza importanza e Il gioco del rovescio) e di altre suggestive forme brevi di scrittura, per Tabucchi fare letteratura ha significato soprattutto occuparsi di fantasie che raccontano sempre la verità.
Lo scrittore nei suoi libri indaga molteplici tecniche narrative: dal giallo al poliziesco guardando a Sciascia e Dürrenmatt. Egli è uno scrittore perplesso, agnostico e scettico.
Poco portato alle certezze assolute, scava nella materia che la vita gli offre e affascinato dalle questioni della filosofia, della storia e della letteratura spia dal buco della serratura l’esistere con fantasia e curiosità.
Da Feltrinelli è appena uscito Zig zag. Conversazioni con Carlos Gumpert e Anteos Chrysostomidis, il libro più ricco e completo di interviste con Tabucchi, in cui lo scrittore ci dice tutto quello che c’è da conoscere sui suoi libri, sulla scrittura e sulla letteratura.
Tabucchi risponde volentieri alle domande dei suoi interlocutori, si lascia mettere a nudo, si scopre e da quel grande scrittore politico e civile che è stato, non le manda a dire sulle questioni che riguardano il suo modo di essere intellettuale.
Nelle sue parole affiora la polemica e viene fuori la sua coscienza di uomo e scrittore libero.
Interessanti le sue considerazioni sulla critica letteraria: «Il problema è che al giorno d’oggi la critica letteraria si è trasformata in una professione e non si può essere un buon critico se non se ne ha anche la vocazione. Alcuni critici di professione leggono senza trasporto, senza alcun stimolo o interesse, invece per essere un critico ci vuole la passione, come per la scrittura».
Come ci vuole passione per essere uno scrittore e Antonio Tabucchi nelle sue storie quella passione ce l’ha donata incondizionatamente insieme al suo grande amore sincero per la letteratura.
Quella letteratura che deve sempre andare di pari passo con la vita. Per Tabucchi lo scrittore esprime se stesso e arricchisce il mondo solo attraverso la scrittura ed è suo dovere dedicarsi a scrivere. L’impegno di ogni scrittore consiste nel dire la verità riguardo a se stesso.
La letteratura come forma di conoscenza laica di risposta al bisogno di religiosità dell’uomo. Con questo concetto nella testa, Tabucchi ha portato avanti la sua attività di scrittore, affermando di aver scelto la parola scritta, perché le immagini di cui siamo bombardati quotidianamente sollevano in lui molti dubbi.
La letteratura ha molto a che vedere con il ricordo, con il desiderio di ricordare anche la propria immaginazione.
Per Tabucchi non è altro che un tentativo di arrivare in fondo a un percorso lungo nel quale finiamo col perderci: un labirinto in cui lo scrittore avverte l’urgenza e la tentazione di andare avanti a zig zag, saltando da un sentiero all’altro per perdersi, fuggire o magari ritrovarsi.
La letteratura, quella grande verità che si esprime attraverso la finzione, è stata per Tabucchi una magnifica ossessione che lo ha divertito e allo stesso tempo inquietato.
«Come scrittore, io mi limito a registrare il malessere che mi circonda, l’inquietudine di cui, assieme agli altri esseri umani, sono partecipe. Di un’unica cosa, forse, posso essere orgoglioso: di non essere uno scrittore che tranquillizza le coscienze, perché credo che i miei lettori ricevano per lo meno una piccola dose d’inquietudine che, chissà, un giorno germoglierà e darà i suoi frutti».
Tabucchi come scrittore non si chiede mai come può interpretare il mondo di cui fa parte, si chiede piuttosto in che mondo viva e che cosa stia facendo lui stesso in quel mondo. Vista cosi, la sua opera contribuisce a offrire un’idea del mondo assai problematica, a disegnare un’immagine della nostra vita con un punto interrogativo, è uno scrittore postmoderno
«La postmodernità, probabilmente, è fatta anche di macerie. Se per postmodernità intendiamo una cultura che è crollata, o per meglio dire, i resti di una cultura forte che è franata su se stessa, allora sì, sono un figlio del mio tempo. Se la postmodernità è la cultura di questi uomini che nascono dalle macerie, io sono chiaramente uno di loro».
Il rovescio, il doppio, la nostalgia, la memoria, questi sono alcuni temi della scrittura di Tabucchi, un autore unico che ha servito la letteratura e la vita e che ha concepito la letteratura con il tentativo di dare un senso a ciò che stiamo vedendo e vivendo, perché è sempre il tempo di dire la verità.
«Non mi è mai piaciuto giocare con le carte segnate, né bluffare a poker; e che non mi sono mai tirato indietro quando si è trattato di macchiarsi la camicia: credo infatti che la pagina letteraria abbia bisogno di macchie, di macchie di sugo, di grasso, di sangue come la vita. Non deve essere sterilizzata. Deve essere come siamo noi esseri umani, con i nostri difetti, che è meglio non nascondere».
Con queste parole si consegna ai posteri Antonio Tabucchi. A dieci anni dalla sua scomparsa noi lo leggiamo e lo ricordiamo come un grande scrittore politico e civile che si è sempre occupato degli altri e di tutti noi che lo abbiamo amato per il suo modo autentico di essere testimone sincero del suo e del nostro tempo.