Leggere Gustaw Herling
Articolo di Geraldine Meyer
Forse mai come oggi sarebbe necessario leggere e rileggere Gustaw Herling. I motivi per cui questo dovrebbe divenire un imperativo morale potrebbero prestarsi a non pochi equivoci. Vista la situazione attuale si potrebbe essere indotti a credere che un libro come Un mondo a parte sia un ulteriore mattone con cui si sta costruendo un clima russofobico. Invece è esattamente il contrario. Perché Un mondo a parte è non solo uno degli esempi più alti di letteratura concentrazionaria ma, ancor più, un esempio di lucida e sobria testimonianza che mette nero su bianco la realtà dei gulag senza scivolare nella furia sia della iconoclastia sia della iconolatria ideologica. Un mondo a parte è la pietra miliare di un intellettuale che mai ha sovrapposto regime sovietico a cultura e popolo sovietico. Un equilibrio culturale e etico che disegna una bussola di rigore e onestà intellettuale.
Che libro è, dunque, Un mondo a parte di Herling? Non solo, come dicevamo, uno dei libri più potenti mai scritti sui gulag. Ma anche un libro che, in un certo senso, visse una sorta di “reclusione” come quella del suo autore. Pubblicato in Italia, per la prima volta, nel 1958 da Laterza e nel 1965 da Rizzoli, il libro attraversò un vero e proprio ostracismo da parte di una “cultura” di sinistra impegnata a rimuovere, nel migliore dei casi, o negare nel peggiore. Per arrivare finalmente agli anni ’90 con un maggiore riconoscimento anche grazie a un cambio di contesto politico ma anche all’edizione Feltrinelli. Edizione nella quale possiamo leggere queste parole di Herling stesso: “Nel mio paese natale, la Polonia, Un mondo a parte, stette in testa, con alcuni altri libri, all’index librorum prohibitorum comunista. Successe che durante il potere comunista il mio cognome fu cancellato dal quadro della letteratura polacca contemporanea.” Non solo in Italia per la verità, seppure non in modo così furioso.
Un mondo a parte è “un mosaico di storie” come ebbe a dire Cataluccio. Storie di singoli, storie collettive, storie di un intero sistema politico. Un libro di testimonianza e, ancor più, un libro di riflessioni e sollecitazioni etiche e filosofiche, tra le cui pagine vi è una domanda, più forte delle altre. Quella domanda, crudele ma ineludibile, che porta a chiedersi di cosa sia capace l’essere umano in condizioni estreme. Dove per estreme si intende estremamente disumane. Un mondo a parte è un libro che a tale domanda risponde proprio perché Herling, con lucidità ma senza pretese giudicanti, descrive e racconta. Quasi con tagliente oggettività. Vi sono, in questo libro, pagine durissime, disperate, disturbanti, di infamia e tradimento, miseria e nobiltà. Pagine in cui la demente crudeltà del gulag si mescola (solo attraverso il racconto e mai attraverso il giudizio) alla paranoica burocratica fantasia di controllo del regime.
Un libro dunque che non poteva non essere indigesto per una certa sinistra ma che, altrettanto chiaramente, non poteva non essere ammirato e apprezzato da personalità come Silone o Chiaromonte. Silone addirittura, mentre la sinistra “sinistrata” sognava un’espulsione di Herling dal suolo italiano (in cui aveva deciso di vivere) gli offrì uno spazio su Tempo presente, rivista a cui Silone collaborava in maniera fattiva.
Quella di Herling potrebbe, da alcune anime belle, essere scambiata per equidistanza. Equidistanza di condanna dei regimi totalitari di qualunque colore. In realtà Herling non è equidistante quanto, semmai, fortemente schierato nella condanna a un paese e a un regime che, mentre combatteva il nazismo, non esitò a “evocarne” l’orrore con i gulag. Davvero da leggere, adesso, questo Un mondo a parte