Antiche dimore: uno sfratto

Antiche dimore: uno sfratto

“Antiche dimore: uno sfratto” è un racconto di Martino Ciano. In copertina una foto di Giuseppina Biondi

Di antiche dimore vorrei raccontarti, ma ho paura di perdermi tra le macerie, di ricostruire solo la loro antica storia, senza pensare al futuro, a ciò che sarà. Ho ricevuto lo sfratto dalla mia immaginazione.

Non so se il tempo divorerà ancora i muri, i mobili mutilati, le finestre spalancate. Non immagino cosa sia passato da qui, cosa abbia messo in fuga coloro che vi vivevano. Nulla di tutto ciò è stato percepito, eppure è accaduto. Cosa resterà delle vittime, dei testimoni?

Eccomi, anch’io esisto, ma non vengo percepito. Non sono presente negli occhi degli altri, nei ricordi, nelle cerimonie gioiose e in quelle in cui resuscita disprezzo per ogni cosa. Eppure in ciascuna dimora sta la mia stanza da letto, dorme ancora l’eco del mio nome, russa la passione consumata sia al chiaro di luna che durante la pioggia.

Tra antiche dimore cercavo il profumo del bucato, le rose di mia nonna, gli occhi di mio padre, le mani di mia madre e la sua bicicletta, i pattini a rotelle di mia sorella. In un pugno di fogli ingialliti trovai le ragioni di un abbandono, la parola più usata era “malinconia”. Ho messo tutto in tasca, dopo aver soffiato via la polvere da ogni facciata. Tra le parole c’erano la morte senza resurrezione, la nostalgia di una tavola imbandita, sempre uguale, così abitudinaria, attorno alla quale sedevano cinque persone.

Poi tutto è sparito, uno a uno sono andati via, ciascuno senza avvisare, senza congedarsi. È stato così che in antiche dimore, forse dell’unica rimasta nel mio cuore, io ancora abito ma senza più ricordarla come prima, senza più sentirla mia.

Ora che entri con me nel sottoscala, tra un frigorifero lasciato a marcire, una bombola del gas arrugginita e una gomma per innaffiare un giardino ormai brullo, mi domandi cosa voglia dire “ristrutturare”. Ti rispondo che sarebbe come imbiancare un sepolcro.

In antiche dimore ti ho fatto sentire come se tu non fossi mai uscita dalla tua, mentre da ospite ho attraversato la mia casa. Come un ladro ho sbirciato nelle stanze razziando ricordi, immagini, scherzi del destino e allucinazioni ricamate dalla solitudine. Ho posato lo sguardo su un libro: la vecchia antologia delle scuole elementari con cui imparai a leggere.

Su una pagina era scritto a matita “Bravissimo”. La maestra aveva apposto il suo giudizio nel mezzo di una nuvoletta bianca che due conigli guardavano incantati. Da quel giorno ho cominciato a credere e a illudermi che le mie parole, un giorno, forse nell’ultimo, serviranno a qualcosa.

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