Un granello di sale

Racconto di Antonella Perrotta

Il suo nome era Anna. “È un nome speciale. Rimane uguale pure se lo leggi al contrario” le diceva sua nonna mentre le accarezzava i capelli. “Sta in guardia dagli uomini!” le diceva pure, ma Anna non capiva. Lei pensava con la mente sgombra e parlava con lingua sincera, guardava al mondo con fiducia e cantava a squarciagola sognando l’amore.

Forse per questo la chiamavano la Sfacciata, ché la verità non sempre si apprezza, e le riservavano cattiveria e risate sguaiate. Facevano male, ogni giorno di più, finché Anna sentì il cuore accartocciarsi e la gola farsi secca. Fu allora che si convertì al silenzio e riservò le parole agli alberi che sapevano ascoltarla e le rispondevano col fruscio carezzevole delle fronde e agli animali che le rispondevano coi versi e con lo sguardo.

Per tutti divenne, allora, la Matta. Ma per lei le parole degli uomini avevano ormai perso d’importanza.

Un giorno venne un uomo, le si avvicinò, le prese il viso fra le mani. “Mi piacciono i tuoi silenzi” le disse e la baciò prima sul collo, poi sulla bocca. Anna si leccò le labbra con la punta della lingua per sentire meglio il suo sapore. Le ricordò quello di un granello di sale.

L’uomo andò da lei una seconda volta. “Sei bellissima” le disse e Anna pensò che quelle fossero parole importanti, meritevoli di risposta. Il cuore le si gonfiò e la gola s’inumidì. Sussurrò: “Tu di più” e le sue erano parole nuove. L’uomo la prese fra i salici sulla sponda del fiume e lei si lasciò prendere.

Poi, l’uomo scomparve e Anna ritornò ai suoi silenzi. Lo aspettò a lungo, rannicchiata sulla riva, laddove il terreno umido e l’erba fresca sapevano accoglierla come un ventre molle. Confidò la sua delusione al vento che, leggero, le accarezzò il viso, ai salici che le fecero ombra, alle acque che cantarono per lei scorrendo veloci fra i sassi, ai martin pescatori che lasciarono cadere fra i suoi capelli piume azzurre e gialle. Ma le sue gote rimasero bagnate di lacrime e le lacrime erano gocce e le gocce sapevano di un granello di sale da leccare con la punta della lingua. E il dolore le esplose nel petto, scoppiettio di brace ardente, un urlo le uscì dalla gola e vagò nell’aria con la forza di un vagito di parole appena partorite, mentre il vento si fece impetuoso, il fiume si gonfiò, le fronde dei salici si agitarono, i martin pescatori si tuffarono in picchiata fra le acque e le altre creature corsero, nervose, a nascondersi.

Anna lasciò che il dolore ardesse finché non divenne cenere e attese paziente che il vento, le acque, i salici e tutte le creature si quietassero con lei. Poi, abbandonò il grembo fangoso, si ripulì al fiume, si asciugò con l’erba e le foglie, acconciò i capelli con le piume azzurre e gialle e giurò a se stessa che nessuna parola e cattiveria, nessuno scherno o tradimento o abbandono le avrebbero più spento la voce.

Sorrise al suo riflesso sulle acque chete. Iniziò nuovamente a cantare e, stavolta, con la pace nel petto.

 

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