Rezia: Sacha Rosel oltre la percezione

Recensione di Martino Ciano. In copertina: “Rezia” di Sacha Rosel, Qed Edizioni, 2025
Scendere in profondità, esplorare gli abissi, oltrepassare il tempo e la forma, tornare al bianco, alla luce. È un Itinerario mistico quello che compie Lucrezia, ma è anche un gioco che lei, la protagonista, compie con sé stessa.
George Berkeley, filosofo dell’immaterialismo, sosteneva che essere vuol dire essere percepiti. Ciò vale anche quando, rivolgendo a loro lo sguardo, riconosciamo l’inconscio o il rimosso?
“Rezia” è un libro che unisce narrativa e poesia, che parafrasa la filosofia e i mistici, che si apre a tante interpretazioni, ma ciascuna di esse giunge allo stesso punto: la realtà, ossia l’apparenza generata dalla nostra mente, provoca il dolore.
Lucrezia è appassionata di pittura, è ossessionata dal bianco, cova il suo malessere assistendo la madre malata. Un giorno decide di dare fuoco alle sue tele, con la speranza di portarle a quello stadio di incandescenza che rende ogni oggetto bianco, puro, privo di colore. A causa di tale gesto si ritroverà rinchiusa in una clinica psichiatrica.
In questo luogo il grigio delle pareti offusca tutto, i medicinali che le vengono somministrati rendono le cose evanescenti. Solo l’inconscio resta vigile, lì tutte le metamorfosi sono immerse nel viola, colore simbolo dell’oltrepassamento. Ma ciò che oltrepassa non perde ciò che era, semplicemente diventa altro. Potrebbe avere qualsiasi sembianza; potrebbe essere una nuova ossessione in carne e ossa a cui dare persino un nome, magari Gisèle, Rezia o proprio Lucrezia.
Ci imbattiamo quindi in un gioco di specchi, in semplici presenze che il lettore dovrà analizzare. Il senso è chiaro, è la narrazione che si fa onirica, che rende allegorica la discesa negli inferi. Il corpo di Lucrezia è nella realtà, o sarebbe meglio dire nell’apparenza, mentre la sua mente e la sua anima sono tra le “cose per ciò che sono”; in poche parole: nell’essenza.
Quando leggo un romanzo, spesso affianco a esso un’opera filosofica. Durante la lettura di Rezia ero alle prese con un saggio su Leibniz e i suoi mondi possibili. Ora, senza creare parallelismi forzati e inutili, l’opera di Rosel non ci mostra altri mondi, ma come il linguaggio non sia in grado di catturare quello che sta al di là del velo.
Ciò rende questo meta-romanzo una sperimentazione coraggiosa, dettata da una forte “fede” nell’arte come veicolo per mostrare l’indicibile e l’irrealizzabile. “Rezia” non è astrazione, sarebbe stato semplice e inutile, ma costruzione di una storia che spalanca le porte del Tutto. A dominare è la pura percezione che si riversa in una personale rappresentazione.