Mi sono messo nei tuoi panni
Racconto di Daniela Grandinetti
Ieri sono andato al supermercato e ho comprato un secchio nuovo, quello che c’era in terrazza era ormai un rottame, roso dal caldo e dal sole di quest’estate. Ho anche comprato uno straccio e un detersivo disinfettante, almeno così dice l’etichetta. Non potendo disinfettare il sangue nel quale ancora circola la vita, ho pensato che era l’ora di lavare i pavimenti che calpesto ogni giorno da quando te ne sei andata. Ho anche messo le lenzuola pulite al letto, dopo quasi due mesi.
Non l’avevo fatto perché speravo tu tornassi e sapevo che sarebbe stata la prima cosa che tu avresti fatto. Avresti messo tutto in lavatrice e li avresti stesi al sole e la notte avrei sentito profumo di pulito. Ma non sei tornata. Così mi sono armato di pazienza e l’ho fatto, devo dire decentemente. Ho anche aggiunto una coperta, che qui la notte comincia a essere freddo. L’ho trovata in garage, in una cassapanca, c’erano strisce di carta sparse qua e là che odoravano vagamente di lavanda. Sono tante le cose che devo cercare, ero convinto di avere tutto sotto controllo, ma ci sono mille piccole cose delle quali non m’importava e che adesso mi accorgo sono necessarie. E pensare che tra i due eri tu quella distratta, la smemorata. Non trovavi mai niente, dimenticavi dove avevi lasciato le chiavi, le carte di credito, gli occhiali. Io ero l’antidoto alla tua distrazione. Dimenticavi di prendere perfino le medicine.
Mi sembrava fosse questo il senso della vita a due, quando con il tempo si diventa l’uno il supporto dell’altro. È che pensavo di essere io a guidare la mia, la tua, la nostra vita. Adesso mi guardo intorno e tutto è capovolto. Ogni regola, ogni abitudine, ogni sentimento è sovvertito, costretto come sono a misurarmi con una prospettiva fatta di solitudine e di vuoto. Stamattina, ad esempio, ho fatto la doccia. Mi sto sforzando di tenere pulito, ma i bordi stanno diventando neri, ho notato lingue di calcare che si stanno allungando minacciose lungo il perimetro. Le pareti sono un mosaico opaco di gocce che lasciano implacabili le tracce del loro passaggio. Tu lo dicevi sempre. Io non sopportavo che nei fine settimana tu sprecassi il tempo in quelle pulizie idiote. Rispondevi che qualcuno doveva pur farlo. Ribattevo che nessuno lo chiedeva. Adesso risento la tua voce “Se non lo facessi più – dicevi – forse ti accorgeresti che qualcuno lo deve fare.”
Avevi ragione. Adesso mi accorgo della differenza. Quelle macchie odiose danno la misura dei giorni che passano. Dell’ingiuria del tempo. Sto facendo del mio meglio per non lasciare andare tutto in malora. In cucina con le pulizie ho maggiori difficoltà, forse per via dell’uso, visto che devo mangiare almeno due volte al giorno. Al supermercato ho anche comprato un detersivo sgrassante. L’ho usato ieri, non risplende come promette l’etichetta ma quanto meno – dopo aver sommato incrostazioni e patacche nelle ultime settimane – è pulito. Un po’ come il cuore, il mio. Almeno è quello che ho pensato strofinando le chiazze di caffè, le gocce di sugo rosso di pomodoro, il bianco latteo dell’acqua quando cuoci il riso. È sorprendente ci siano preparati chimici che dosati in piccola quantità su spugnette abrasive possano cancellare qualsiasi cosa. Sarebbe così difficile inventare qualcosa di simile anche per gli esseri umani?
Lo so, nel mondo scoppiano bombe all’improvviso, ci sono bambini in mezzo alle guerre, ho perso amici spazzati via dal cancro. Insomma, c’è di peggio. Io sono vivo, e almeno fisicamente sto bene. Solo che è dura svegliarsi ogni giorno e prepararsi a una quotidiana resa dei conti. Lo ammetto, non ero preparato a questo.
Le foto, ad esempio. Sono là dove sono sempre state, eppure basterebbe nasconderle, levarle di torno. Io invece non ho cambiato di un millimetro la disposizione degli oggetti. È tutto lì esattamente dove stava. A parte la polvere, quella sì sta cambiando l’aspetto della stanza. Però la polvere non mi dispiace, è come se pulviscolo dopo pulviscolo si depositasse ovunque, con leggerezza. Arriva a coprire ogni cosa e la protegge, la pone in uno stato di attesa. Anche per questo tengo le finestre chiuse, perché l’aria non la sposti. Sì. Le finestre è bene stiano chiuse. Così proteggo la polvere e la mia vita, la tua, la nostra.
Perché tu torni. Lo so che torni.