Il piacere è tutto mio
Articolo di Antonio Maria Porretti
Sarebbe oltremodo gradito – in quanto segno di maggior considerazione nei riguardi degli spettatori- se ogni tanto, la distribuzione italiana evitasse di camuffare certi film sotto travestimenti che ne sviliscono e contrabbandano il senso. È il caso di Il piacere è tutto mio della regista australiana Sophie Hyde. Trailer di lancio e traduzione stessa del titolo (in originale “Good Luck To You Leo Grande”) sembrano essere confezionati a bella posta per instillare nel pubblico l’idea che si tratti di una pochade un po’ sfacciatella.
Niente di più estraneo al carattere di questa pellicola, che si staglia per l’onestà, il coraggio e la delicatezza con cui affronta un argomento niente affatto facile, anzi, piuttosto scomodo e tutt’altro che popolare: l’erotismo, il sesso al femminile, quando nel corpo di una donna scoccano i primi rintocchi della vecchiaia. Eccola la parola “monstre”, sconsacrata e senza più diritto di asilo nei vocabolari della comunicazione attuale, sempre così in affanno dietro a eufemismi di rimpiazzo. Eppure la storia qui narrata la esige.
Il tempo modifica il corpo (mi pare già di sentire Monsieur de Lapalisse ringraziare sentitamente dalla tomba), la sua energia e carica sessuale anche, ma le loro istanze e necessità permangono. E forse ancora più esigenti rispetto al passato. Come accade a Nancy Stokes: vedova, ex insegnante di religione, che in tutta la sua vita coniugale non ha mai provato il piacere dell’orgasmo. Adesso, vuole provare ad averne uno; vuole appropriarsi di una femminilità fino ad ora mortificata e repressa per via della sua educazione, della mentalità che ha acquisito, condizionata dai “non si fa”, ” non sta bene”, ” cosa penserà mai la gente?”, tralasciando la censura che lei per prima esercita su sé stessa.
L’incontro con Leo Grande, il giovane escort prenotato sul sito di un’agenzia per accompagnatori, si prefigge di giungere allo scopo. Ops, mi è sfuggito un lapsus freudiano! Se non altro giustificato dal contesto, suvvia… Eppure, prima di denudare i loro corpi e lasciarli incontrare, Nancy e Leo spoglieranno la pelle delle loro anime. La camera che li accoglie e ospita diventerà uno spazio elastico in cui lasciar confluire stanze delle loro vite. I tre appartamenti che si susseguiranno, andranno a scandire le tappe di una progressiva scoperta e conoscenza delle loro ferite rimaste aperte. In parte si rimargineranno, in parte verranno accantonate, perché alla fine un modo per tirare avanti bisogna pur trovarlo. Ed è nel riflesso proiettato da questa angolazione, che la versione originale del titolo (Good Luck To You Leo Grande) colora di una sfumatura tenera e affettuosa il saluto a qualcuno che non si rivedrà più. Un film da camera dunque, d’impianto nettamente teatrale, non solo per unità di luogo e azione, ma anche per l’immediatezza emotiva che è in grado di restituirci. Merito dovuto innanzitutto grazie alla presenza di una interprete del livello e rango di Emma Thompson, in un ruolo che poche altre attrici avrebbero potuto ricoprire, ottimamente coadiuvata da Daryl McCormack, che rifugge da ogni stereotipo nel tratteggiare il suo personaggio di amante a pagamento. Una menzione speciale è doverosa anche per Isabella Laughland, sia pure nella poco più che apparizione come cameriera dell’albergo, di servizio nella caffetteria della hall -e pure ex allieva di Nancy. Merito anche di una scrittura agile, mai sopra le righe e precisa come un metronomo nell’alternare toni ora più ilari, ora più concitati e tesi, frutto della penna di Katy Brand. Per concludere, un film che ci ricorda che il tempo toglie ma può dare ancora molto. PS: Nota cinefila. Visto che di cinema si tratta, non apparirà fuori luogo segnalare che il vero nome di Nancy Stokes nel film è poi Susan Robinson. Pensare d’emblée alla Mrs Robinson de “Il Laureato”, anche questo è lapalissiano; non vi pare?