“Maria, quella vera”. Quei tortoresi ispirati da “La canzone di Marinella” di De André
Articolo di Letizia Falzone
Le immagini in movimento sono uno strumento unico per avere accesso alle molteplici sfaccettature della realtà. Tra di esse il cortometraggio rimane una forma privilegiata per la sua capacità di sintesi nel proporre agli studenti diversi aspetti del contemporaneo da conoscere, analizzare e approfondire. I programmi tematici costruiti per le scuole hanno un doppio obiettivo: fare in modo che i ragazzi possano familiarizzare con il cinema, il più complesso linguaggio audiovisivo, e aprirli a fatti, persone, storie del mondo in cui viviamo.
Gli studenti dell’Istituto professionale “Antonio Gabriele” di Tortora, guidati dall’educatore e divulgatore della musica d’autore Francesco Aurelio, hanno progettato e realizzato un cortometraggio rifacendosi al testo della canzone di Fabrizio De André, “La canzone di Marinella”. Rientra nel progetto “Dillo con un corto”, di cui è referente il professore Giampiero Valente, e nasce dalla volontà di sensibilizzare i ragazzi a tematiche socio-educative attraverso la sperimentazione di una produzione audiovisiva.
Ma chi era Marinella, la fanciulla che ispirò De Andrè e che è diventata oggi la protagonista del cortometraggio Maria, quella vera?
Era una bellissima fanciulla calabrese. Maria nasce l’otto ottobre 1920 nella piccola frazione di Radicena, oggi Taurianova, cittadina in provincia di Reggio Calabria e, all’età di 9 anni, emigra con la sua famiglia a Milano in cerca di miglior fortuna. Appena quattordicenne inizia a lavorare alla Manifattura tabacchi. Qui conosce uno studente spiantato, Mario, di cui s’innamora e che per la sua avvenenza la convince ad abbandonare la famiglia ed il modesto lavoro di operaia per entrare nel mondo dello spettacolo. Ballerina col nome d’arte Mary Pirimpò, conclusasi la storia d’amore, le difficoltà economiche e l’impossibilità di riallacciare i rapporti con la famiglia la portarono velocemente ad un’escalation che la condussero a finire in un giro di prostituzione, sino ad essere uccisa a colpi di pistola nel gennaio 1953 e gettata nel fiume Olona, a Milano. Le indagini non portarono mai all’arresto del suo assassino. Ed è grazie a Maria Boccuzzi, sfortunata ragazza calabrese, se è stato scritto uno dei più belli e popolari brani dell’universo musicale italiano della seconda metà del ‘900.
De Andrè ha riscritto, riempiendola di poesia, la storia di una donna sfruttata e gettata via come uno straccio vecchio. Anche se “La Canzone di Marinella” può apparire lontana dal registro artistico del grande cantautore, una favola triste dai toni orecchiabili, in realtà, conoscendone la genesi, conferma la profonda empatia di Faber per gli ultimi della terra, gli invisibili alla storia. Una storia senza tempo, che parla di persone senza storia. Marinella era una prostituta, il cui corpo era stato trovato massacrato sul greto di un torrente. Sembra una storia di oggi, ma è purtroppo storia di sempre. Ed è storia di sempre quella di donne abusate, seviziate e uccise da uomini violenti, figli di altri uomini violenti e cresciuti in ambienti violenti, che non lasciano scampo all’empatia e alla dolcezza d’animo.
I destinatari sono sicuramente gli studenti. La passione, il dolore, il destino crudele e meschino di “Maria, quella vera” trasmettono un messaggio molto forte: l’esistenza umana è effimera, nessuno può sottrarsi alla morte, alla sofferenza; allo stesso tempo, però, nessuno può (e deve) sottrarsi alla bellezza di un sentimento così grande, la cui potenza è tale da annullare la propria identità e sconvolgere la propria personalità.
Dove non arriva la vita, lì ci arriva la musica, in questo caso creatrice di un’altra realtà, che non intende certamente cancellare l’episodio di cronaca, ma ridargli dignità, offrire l’occasione a noi spettatori di viverci la sventurata ragazza non come protagonista della tetra vicenda, ma in un’ideale dimensione di spensieratezza. Ed è proprio questa operazione effettuata da De Andrè che riesce a liberare le nostre menti in un transfert emotivo veramente intimo. Anche il fiordaliso, citato all’interno del brano, insiste sull’idea di leggerezza, dolcezza e felicità.
Il cortometraggio è stato girato in Calabria, tra il centro storico di Tortora e il fiume Noce. È stata fatta questa scelta perché solo i vicoli di chi è nato in questa terra e da questa terra è partito, avrebbero potuto raccontare una storia così profonda.
“Maria, quella vera” è tra i 5 finalisti dell’ I-Fest International Film Festival categoria Contest Orizzonti – Young Talents. La cerimonia di premiazione si svolgerà dall’8 al 18 Settembre a Castrovillari.
Chissà se quando Faber scriveva: “E come tutte le più belle cose…Vivesti solo un giorno, come le rose”, pensava davvero a Maria Boccuzzi. Quel che è certo è che, anche se non era rivolta a questa ragazza sfortunata, la ballata di De André le si addice perfettamente.