Limonov. Il film su un rivoluzionario contraddittorio

Limonov. Il film su un rivoluzionario contraddittorio

Recensione di Gianni Vittorio. In copertina una foto della locandina del film tratta dal web. Questo articolo è già stato pubblicato su Liberi Pensieri

Riuscire a realizzare un film tratto dal capolavoro di Carrère non era certo impresa semplice (Limonov, 2012 Adelphi edizioni). Dopo che Saverio Costanzo lascia la lavorazione, viene contattato Serebrennikov che riuscirà a dirigerlo con una coproduzione internazionale, ma con tanti problemi, tra cui i continui cambi di set. Alla fine riesce a concludere il lavoro, dando vita ad un’opera punk.

Eduard voleva essere amato, Eduard voleva essere capito. E come tutti gli artisti, o quasi, identificarsi con un personaggio risulta difficile. E Limonov (così si faceva chiamare) non voleva essere etichettato. Lui che fu prima poeta, poi marchettaro, poi maggiordomo, e poi ancora leader di un movimento ultra nazionalista con spiccate attitudini di destra.

Voleva fare la rivoluzione, ma riuscì solo a cambiare vita, diventando un personaggio famoso pieno di contraddizioni. Il regista Serebrennikov riesce a coinvolgere lo spettatore facendolo appassionare alle vicende vissute dal poeta russo, ma nello stesso tempo pecca nel mettere troppa carne al fuoco. Infatti, alla fine, la molteplicità di eventi che lo vedono coinvolto avrebbe meritato un approfondimento più dettagliato. E se anche la divisione in capitoli ci fa ben comprendere come il nostro sia passato da un luogo all’altro (interessante il suo periodo americano).

Fatto sta che alcuni aspetti non vengono spiegati al meglio.

Dal punto di vista registico risultano calzanti le scelte musicali (Lou Reed su tutti), mentre l’impianto visionario rende affascinante il susseguirsi della narrazione. Di alto livello anche la fotografia, che alterna il colore (molto saturo) con le scene in bianco e nero, selezionando in maniera minuziosa le inquadrature a seconda dello stato d’animo del protagonista.

Immenso Ben Whishaw, che si cala nella parte dell’intellettuale in maniera folgorante e volutamente sopra le righe. Un film barocco, delirante, esagerato, come lo stesso personaggio richiedeva. In Limonov, tutto è concepito per opposti. Il poeta che non vuole essere servo del sistema, ma che in seguito diventa realmente un servo a New York, per farsi strada e farsi pubblicare il libro.

Le sue vicende personali non seguono una linea diritta, perché gli ostacoli che si frappongono tra lui e la tanto ricercata felicità non finiranno. Sulla sua figura ci sono sempre state diverse opinioni, dalle angolazioni più disparate, ma rimane affascinante la sua parabola. Un uomo che, da poeta squattrinato diventerà, in età matura, un leader nazionalista.

Tutta la sua vita è stata una lotta contro il potere, a favore dei più poveri (non amava il lusso), ma questo lo spinse ad assumere posizioni ambigue, come flirtare con il potere russo, che lui stesso osteggiava. Rimane in ogni caso un’opera importante, perché ha saputo mettere in risalto un personaggio controverso ma di sicuro spessore, di un dissidente sovietico che non riuscì (per colpa del suo stesso ego) a fare una vera rivoluzione, come recitano le sue poesie.

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