La novità (Quinta e ultima parte)

Racconto di Gennaro Lento

Il sole era quasi al tramonto e lasciava dietro di sé una scia di rosso cupo, simile ad un tuorlo cremisi che tingeva il metallo lucido dell’astronave di riflessi quasi infernali.

Stavano ancora discutendo sul da farsi quando improvvisamente tutto tacque.

Preceduta da un leggero sbuffo d’aria dai bocchettoni laterali, l’astronave finalmente sembrò risvegliarsi dal letargo. In un attimo tutti si rianimarono, allargando il cerchio attorno al mezzo. Forse ci siamo, pensò il pastore Pino. Sarebbe pure ora, eccheccazzo, pensarono quasi tutti gli altri.

Nonostante l’attesa nessun portellone si aprì. Davanti agli occhi sbarrati della folla, l’astronave prese a vibrare per un paio di minuti come una lavatrice in centrifuga, finché iniziò a lievitare da terra molto lentamente. Si sollevò di un paio di metri sulla folla e poi stette lì sospesa per qualche istante, come assorta. Sembrava osservarli pensosa. Lungo il metallo lucido delle paratie laterali si potevano vedere riflessi i volti sbalorditi dei paesani con le bocche spalancate. Poi, veloce come un lampo, si alzò alta nel cielo e sparì verso le profondità siderali, lasciandosi dietro una debole scia luminosa, come di strass. Così com’erano arrivati, gli alieni se n’erano andati.

Un sentimento di amara delusione iniziò a farsi largo tra i presenti, alcuni dei quali erano da parecchie ore in attesa dell’incontro ravvicinato con la civiltà extraterrestre. Ma come, mormoravano, noi siamo qui ad aspettare con tanta trepidazione e questi se ne vanno, senza neanche presentarsi, senza neanche salutare. Non si fa così, che diamine, di dovunque fossero è certo che sono dei gran maleducati, sparire a questo modo, proprio a noi dovevano capitare questi marziani zoticoni, volevo vedere se atterravano a Roma o a Parigi se si permettevano una simile offesa. Villani.

Un brontolio di rabbia crescente salì dalla folla delusa. Qualcuno fischiò alla pecoraia con le dita in bocca, un altro si produsse in una pernacchia di notevole impatto sonoro, accompagnata da inequivocabili gesti di disapprovazione. Il più deluso di tutti era il pastore Pino, che già si vedeva a Porta a Porta con Bruno Vespa che lo intervistava e Belen che gli faceva gli occhi dolci e lo ammazzava di spacchi e farfalline dalla poltrona di fronte. Il disgraziato già pregustava stuoli di aspiranti fidanzate pronte a cadergli ai piedi e ali di folla a lanciargli fiori, mentre portava all’altare una stangona bionda sulla sua Porsche Cabrio. Niente carrozza, che ormai ragazze romantiche non ce n’erano più. Poteva essere la svolta della sua vita. Pazienza, si vede che non era destino.

– E adesso, che si fa? – chiese con aria afflitta, interrompendo le lagnanze del pueblo unido. La folla fece silenzio di colpo e prese a fissare il pastore Pino. Già, adesso che si fa?
– Guardate, – disse con enfasi la sarta, – il mio telefono segna di nuovo la presenza di campo. Tutti presero a consultare amorevolmente i loro figlioli digitali, constatandone con palpabile sollievo il ritorno alla vita.
– Questo significa che sicuramente anche la tv è tornata a funzionare. Un brusio di approvazione corse tra i presenti.
– Beh, tanto ormai i marziani se ne sono andati, quindi è inutile stare qui a rimestare la cicerchia. Oggi è venerdì e se corriamo facciamo in tempo a vedere Il Grande Fratello Vip. Non so voi, ma io non mi voglio perdere le nomination, – disse d’un fiato. E poi, dopo una pausa a effetto aggiunse, – secondo me eliminano quella gran zoccola di Soleil.

Dalla folla un anonimo tirò un bestemmione tale da far venire giù la chiesa con tutto il campanile. Era il segnale del rompete le righe. In fila indiana e con il Sindaco in testa, tutti s’incamminarono ingobbiti lungo la stradina che portava al paese e nella luce incerta del crepuscolo sembravano tante formiche con i testoni ciondolanti, di ritorno alla tana dopo una giornata di duro lavoro. Il primo cittadino aveva riposto la fascia tricolore e sbottonato la giacca, mostrando le sue istituzionali rotondità, mentre il vicesindaco suo cognato, abbandonata ogni speme, trascinava l’onusto gonfalone simile a Nostro Signore con la croce sul Golgota.

Solo una piccola figura rimase nella radura, con gli occhi puntati verso il cielo ormai scuro, dal quale iniziavano a spuntare leste le stelle più luminose. Al suo fianco, seduto per terra e con il muso puntato in alto, un bastardino di colore indefinito spazzava rapido il terreno con la coda curiosa. Nella testa del bambino una lunga serie di domande si affastellavano le une sulle altre, nella vana attesa di un’illuminazione che sciogliesse i suoi dubbi. Domande di carattere esistenziale, del tipo chi erano quelli, da dove venivano, dove stavano andando. E altre più specifiche, se c’erano bambini nell’astronave, che giochi facevano, se avevano cingomme spaziali capaci di durare un’intera giornata. Cose così, insomma. Quesiti ai quali il bambino tentava di trovare una soluzione col naso per aria e un dito nelle narici a raccogliere risposte più solide, che poi abbandonava distratto sulle maniche del maglione. La meraviglia per quell’incredibile novità gli aveva lasciato il cuore in subbuglio, non riusciva a comprendere come gli altri se ne fossero potuti tornati tranquillamente alle loro case come se nulla fosse accaduto. Non erano curiosi, loro?

Nella testa del cane, invece, c’era un immenso osso volante che lo guardava ammiccante. Anche lui, essendo di natura bestiale come le pecore, tendeva ad approcciarsi alla vita attraverso un’elementare logica di necessità animali. Primo: mangiare.

 

Rimasero a guardare il cielo per molto tempo ancora.

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