Arrivare a te
Racconto di Wanda Lamonica
Trovo scarabocchi ovunque, Martina. Ne troverei altre centinaia, su fogli bianchi, se solo tu avessi un diario. Ma ora non si usa molto scrivere con una vera penna. Viene tutto affidato a due pollici che saltellano, smaniosi, sullo schermo di un cellulare. Tasto “Mi piace”, tasto “non mi piace” e decine di pallini gialli, sono il corredo di azioni e simboli necessari per esprimere ogni cosa. Pare basti così.
Eppure trovo la tua confusione dappertutto. Nel modo in cui lasci i tuoi trucchi in bagno o le magliette provate davanti ad uno specchio sempre troppo antipatico e poi scaraventate sulla sedia. Nel modo in cui ti metti le cuffiette per ascoltare le tue canzoni. Quando invece non ascolti proprio niente, se non quelle voci che ogni tanto ti urlano dentro. Trovo la tua ingenuità nel modo in cui sottolinei i libri e poi te li porti sottobraccio a scuola. Sperando che Qualcuno li apra nel punto esatto in cui hai lasciato una matita tra le pagine.
“Qualcuno” dev’essere proprio un tipo interessante. Tanti riccioli neri e un paio di occhiali. Con i brufoli sul mento e lo zaino nero pieno di libri tosti. Così me lo immagino, il tuo Qualcuno. Oppure è un Qualcuno tenebroso. Di quelli che fanno ammattire tanto le donne che hanno il vizio di indagare sempre nei meandri intricati delle anime più impervie e di innamorarsi lo stesso, strada facendo. Donne come me. Come te, luce mia. Vorrei che il tuo cuore non avesse mai sussulti di dolore, ma soltanto di meraviglioso stupore. Ti proteggerei da un amore sbagliato. Ma non potrei impedirti di amare chi vuoi. E so che il cuore non va a scuola. E non impara mai.
In camera tua, c’è una fotografia di te bambina. Con gli stessi occhi da cerbiatto di adesso e i capelli neri e lisci, che ora vorresti mossi. In quel periodo mi bastava prenderti in braccio per sentirti mia e al sicuro. Per riacciuffarti subito da un mondo insidioso. Ma arriva per ogni madre il momento in cui un figlio sembra sfuggire comunque dal confine di quel sacro rifugio d’amore. Non so quando questo accada, di preciso. Forse quando un figlio fa finta di non vedere più la tua mano da stringere, mentre camminate insieme. O quando cala il primo silenzio fra voi. Un silenzio che rimbomba nelle orecchie di te, madre, che dal suo vagito in poi, non hai avuto altro che i suoi suoni e i suoi rumori a ballarti in testa da mattina a sera.
Martina mia, questo è il momento, in cui di 1000 parole dette, te ne rimarranno in testa forse 100. Ci sono passata anche io. Ma io spero siano almeno le più importanti, le più forti, quelle che potranno aiutarti a vincere le tue guerre. E io ci sarò sempre. A dimostrarti che vorrei solo accompagnarti mentre diventi donna. Che di sicuro, in amore, ho poco da insegnare, io. Nessuno, del resto, potrebbe farlo. Siamo tutti barchette buttate nel mare della vita e le giornate non sono sempre di bonaccia. Ma anche nelle peggiori tempeste, il nostro compito è quello di restare a galla e navigare, aspettando il sole. Il purè non ti piace più. Fai catapulte col cucchiaio per scaraventarlo sul piatto. Mentre appallottoli molliche di pane sulla tovaglia, ti bacio i capelli. E mi ricordo di quando lo faceva tuo padre con me, nei giorni in cui avevamo deciso di rimanere soltanto amici, dopo il terzo litigio grosso dell’anno.
Io, quei baci, me li sognavo di notte e me li facevo bastare. Lavavo ogni giorno i capelli affinché profumassero per lui. E mezzo metro di capelli da asciugare con il fon, ad Agosto, amore mio, non era poi una cosa meravigliosa. La cosa meravigliosa è stata arrivare a Te.