Inferi: Una storia di emozioni, battaglie e grandi eventi

Inferi: Una storia di emozioni, battaglie e grandi eventi

Articolo di Rosanna Pontoriero. “Inferi” è la storia di Nino De Masi e della sua famiglia, scritta con Pietro Comito, che abbraccia stagioni convulse e regala una narrazione intima e un affresco sociale e politico significativo

Al lettore che si aspetterebbe una sola narrazione di eventi legati alla ’ndrangheta, glielo diciamo subito: “Inferi” ha il corpo delle opere narrative ben orchestrate, ci sono personaggi, emozioni, luoghi, case, sentimenti, vite, nostalgie, amarezze. Si chiude il libro, corposo e dettagliato, e si sentono i passi e i ticchetti di orologio. Il cammino è sempre spedito, affannoso, appassionante e talvolta sfiancante. L’orologio corre come un razzo: ieri l’officina, l’Italia giovane del dopoguerra; oggi il progresso. In mezzo un mondo di eventi, un’esistenza audace e una moltitudine di brividi.

Già… Perché i lettori avvertono il fiato di chi racconta. “Inferi”, edito da Compagnia Editoriale Aliberti, libro dell’imprenditore Antonino De Masi con il giornalista Pietro Comito, possiede tratti Morantiani. Avete presente, per l’appunto, “La Storia” di Elsa Morante? Il correre perpendicolare tra il tracciato dei personaggi e quello universalistico e totalizzante della “Storia”, con la maiuscola, che accomuna tutti gli uomini. Una concatenazione tra le vite singole e il corso del tempo. Ebbene, siamo figli di un’onda impetuosa, atomi di un magma inarrestabile.

Nino De Masi è il figlio di Peppe, un imprenditore che ha combattuto la ’ndrangheta ogni singolo giorno, una mente lungimirante, un padre innamorato e ferito; ma mentre attraversa il suo trascorso, alle spalle corrono i decenni più convulsi del novecento in Calabria, in Italia e nel mondo, cambiano i presidenti della Repubblica, i governi, i sottosegretari, i sindacalisti, sorge una meta modernità, impensabile agli esordi del dopoguerra. E si vede nitidamente farsi strada, di parola in parola, questa doppia narrazione. È un aspetto significativo dell’opera, che ha anche il pregio di ricostruire i fatti con un ritmo giornalistico e per questo scorrevole, pulito, razionale. Il rischio di sconfinare nella retorica, per il tessuto della storia, era alto, così come quello di tediare. Ciò non accade, poiché i fatti passano in rassegna armonicamente, sulle note di una saga, senza mai dimenticare, né trascurare le emozioni. È tutto ben calibrato, una efficace strutturazione della matassa narrativa.

Inferi, foto 2

Di padre in figlio

La storia di Nino inizia da suo padre, “Peppe di Margi”, l’uomo da romanzo di formazione, colui che è stato capace di costruire un impero, partendo letteralmente dal niente: «Per raccontare quel ragazzo di campagna – si legge nelle prime pagine, a proposito del padre di Nino – mandato precocemente a fare il garzone d’officina, servirebbe una saga. (…) Aveva un cervello e una ostinazione fuori dal comune: queste due qualità lo resero un uomo geniale quanto inflessibile». Peppe è un uomo austero, autorevole, di quelli che hanno sempre il metro della situazione e per questo conviverci può risultare complicato. «Il mio rapporto con papà – racconta il protagonista – fu spesso conflittuale: era così severo, così inamovibile, che a volte mi sembrava di impattare contro un muro. (…) Sapeva essere padre a modo suo, ma bisognava capirlo». L’officina è un punto di partenza per un ragazzo che portava «le mutande bucate sotto i calzoni corti», un laboratorio di esordio. «Già, quell’officina: – confessa De Masi con intimità – fu in parte la mia condanna e, in parte, la mia salvezza. Fu lì che compresi la logica e il genio di mio padre, al di là della sua granitica durezza. (…) Erano casa i pezzi di motore ordinatamente riposti su un tavolo in attesa di essere rimontati. Casa l’odore acidulo che si spandeva nell’officina: olio misto a carburante, terra, polvere e grasso industriale». Ecco perché ci sono tutti gli elementi e le sfumature per appassionarsi.

Inferi: una vita di lotta

E poi, certamente, c’è la lotta contro la ’ndrangheta, una resistenza incredibile, al limite dell’umano. Una pressione che avrebbe piegato chiunque, prosciugato la mente più potente. Vivere una vita di soglia, di guerra, una obbedienza etica che si traduce in disobbedienza sociale, perché il male nelle piazze possiede, talvolta, un grande fascino, risulta ammiccante, sensuale. Attentati, paura, inquietudine, separazione, dolore, sensi di colpa, rimpianti. Il protagonista racconta icasticamente le sue emozioni, con la sensazione di essere travolto da una onda minacciosa. Alla fine della storia, una corsa matta, disperata, ma intrisa di un fervore limpido, anche innocente, gli autori citano Pasolini: «La morte non è nel non poter comunicare, ma nel non poter più essere compresi». E De Masi confida al lettore quale ricchezza lascerà un giorno: un patrimonio etico, intellettuale e politico, nel senso più nobile e vasto, come interessamento profondo, attivo e sincero alla vita pubblica e al suo divenire.

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