Giovanni Peli. Fermate la produzione. Una distopia poetica
Recensione di Martino Ciano già pubblicata per L’Ottavo
Un romanzo di poesia e di disincanto questo che Giovanni Peli consegna al lettore. Lo scrittore lombardo gioca con gli sconvolgimenti della nostra epoca, ne dilata le conseguenze, pone delle domande a cui difficilmente si potranno dare delle risposte. Il Covid19 non ha solo dato avvio all’emergenza sanitaria, ma anche a un mutamento emozionale e ambientale. Ma non è questo il tema del romanzo Fermate la produzione. Il virus è solo un escamotage che apre un discorso ampio e rimasto in sospeso.
Cos’era l’uomo prima del Covid19? La risposta è la seguente: produzione. Una massiccia produzione di se stesso, dei suoi oggetti e di una cangiante identità piegata alle leggi del desiderio e dell’autocompiacimento. È cambiato qualcosa? No, visto che la necessità del ritorno al vecchio modello è l’obiettivo di tutti. La cosiddetta normalità invocata da più parti è semplicemente la riabilitazione del sistema economico spettacolare in cui eravamo immersi.
Sono queste le premesse da cui Peli parte e sulle quali costruisce il suo romanzo breve, ossia una distopia in cui l’umanità è gettata nel desiderio di ritornare all’anno zero, alla natura, al definitivo abbandono dello stato di produzione e di esigenza. La ricerca della libertà si scontra però con il prima. Da questo punto di vista, lo scrittore lombardo fa sua la lezione di Camus, che nel saggio L’uomo in rivolta demolisce ogni tentativo rivoluzionario e ogni fine di rinnovamento.
Non è una visione pessimistica, ma l’effetto facilmente deducibile di un discorso che riguarda l’uomo e le sue aspirazioni. Di particolare impatto è invece lo stile scelto da Peli. La sua è una prosa poetica, in cui si avverte la cura della parola, la sintesi del concetto, l’esposizione emozionale e intuitiva che coinvolge i sensi.
Il ritorno alla natura dei personaggi di questo romanzo è prima di tutto una rivolta verso lo stato di costante necessità in cui il progresso ha lanciato l’umanità. La ricerca di un nuovo inizio, di un anno zero è sempre un atto che impone la totale distruzione di ogni istituzione dominante, perciò non ci può essere rivoluzione pacifica ed è proprio su questo aspetto che Camus rifletteva. Peli lo fa invece attraverso la poesia, che resta sempre un canto solitario e disperato.