Come convertire le macchine pensanti?

“Come convertire le macchine pensanti?” è un articolo di Guido Borà. In copertina una foto fornita dall’autore. NB: Le opinioni qui espresse non coinvolgono gli enti di appartenenza
Passando ripetutamente su un cavalcavia ferroviario notavo, sia all’andata sia al ritorno, che il semaforo della linea era verde per lungo tempo e immaginavo a quando, in un futuro non troppo remoto (2036), i semafori sarebbero stati soppiantati da boe posizionate sui binari. Qualche settimana prima era stato diffuso un rapporto della Commissione europea in cui si evidenziava che nel 2023 circa il 54% (contro una media UE del 44%) dei cittadini italiani non possedeva competenze digitali di base.
Qualche mese prima era stato pubblicato dall’OCSE un rapporto in cui si concludeva “Raggiungere tassi più elevati di adozione dell’intelligenza artificiale potrebbe aumentare la produttività del lavoro in un contesto di produttività stagnante come in alcune economie avanzate, tra cui l’Italia”. Questi episodi messi insieme possono dirci alcune cose sull’impatto dell’AI nel mercato del lavoro e sulla legittima preoccupazione dovuta a un’innovazione di natura diversa dalle precedenti che va a insidiare in modo brutale la capacità di pensiero, prerogativa principe dell’essere umano.
Alcune innovazioni sono pervasive ma silenziose: si tratta di miglioramenti tecnici con ricadute importanti con impatti tutto sommato limitati sui lavoratori (sostituzione dei semafori con sensori), altre invece, come l’adozione dell’AI sono pervasive e potranno potenzialmente trasformare in modo significativo il mondo del lavoro e la vita della popolazione. Volendo fare un esempio lontano nel tempo, l’invenzione del telaio meccanico alla fine del 1700 (il brevetto di Cartwright è del 1785) trasformò l’industria tessile inglese catapultando i lavoratori dal lavoro a domicilio nelle grandi fabbriche.
La rivolta operaia, ormai considerata un classico, è conosciuta come Luddismo, dal nome dell’operaio, di nome Ned Ludd, che nel 1779 avrebbe distrutto un telaio meccanico. Grandi resistenze all’introduzione altoforni vi furono anche da parte di quei lavoratori dell’industria siderurgica, che governavano la colata a mano! e di conseguenza avevano un’aspettativa di vita molto bassa. Paul Mantoux uno storico economico francese di impostazione marxista sosteneva nel suo importante studio intitolato “La rivoluzione industriale” del 1906 che le rivolte dei lavoratori derivavano dalla mancata consapevolezza, impossibile da acquisire al tempo, che l’innovazione tecnologica avrebbe portato alla creazione di nuovi posti di lavoro grazie all’espansione, ai tempi davvero impressionante, dell’industria manifatturiera.
Per tornare a tempi più recenti Gunter Anders nel suo fondamentale saggio del 1956 “L’uomo è antiquato” ha introdotto il concetto di “Vergogna prometeica” che paradossalmente ha ribaltato il mito positivo di Prometeo: “Chi sono io mai – domanda il Prometeo del giorno d’oggi, il nano di corte del proprio parco macchine, – chi sono io mai?” Anders ribalta la prospettiva tecnicista alla luce dell’invenzione della bomba atomica: l’uomo non è più orgoglioso dell’innovazione ma se ne vergogna. Lo spunto viene da un racconto fattogli sulle reazioni di un visitatore di un’esposizione tecnica. Una volta di fronte alle macchie esposte egli nascondeva le mani dietro la schiena “come se si vergognasse di aver portato questi suoi arnesi pesanti, goffi e antiquati, all’alto cospetto di apparecchi funzionanti con tanta precisione e raffinatezza”.
Al tempo quell’uomo si vergognava delle proprie mani ma adesso noi dovremmo vergognarci del nostro cervello, della nostra capacità di risolvere problemi? Le macchine potranno ipoteticamente sostituire l’uomo nella sua massima espressione, il lavoro intellettuale, ma non si sentano a sicuro i lavoratori manuali perché molte aziende tecnologiche starebbero investendo ingenti risorse nel mercato dei robot industriali guidati dall’AI generativa.
Il nostro futuro di lavoratori della classe media sarà come preconizzato da Kurt Vonnegut nel romanzo distopico “Piano meccanico”, dove un supercomputer EPICAC XVI governa gli Stati Uniti. Tra l’élite tecnica degli ingegneri e la classe media americana viene imposta una difficile convivenza. La maggior parte della popolazione è condannata a non avere più speranza di progresso individuale (anche per mancanza di risposte dalla religione) perché le macchine controllano tutto anche le decisioni sul livello ottimale dei consumi individuali. “Ogni uomo che non riesce a mantenersi facendo un lavoro meglio di una macchina viene impiegato dal governo, o nell’esercito o nel Corpo di Ricostruzione e Risanamento”. Questa era la condanna per gli individui con un quoziente intellettivo basso, un quoziente calcolato, per ciascuna persona, ”secondo il Test Nazionale di Classificazione Generale Ordinari” disponibile a chiunque nelle stazioni di polizia.
Tralasciando i riferimenti letterari, utili a collocare, allora come ora, la temperie culturale sull’innovazione, cercheremo di inquadrare il fenomeno al di là dei proclami e di certe montature pubblicitarie da parte di alcuni attori della Silicon Valley, su cui torneremo in conclusione. L’intelligenza artificiale di tipo generativo e quella di tipo predittivo tendono ad essere confuse tra di loro ma essenzialmente l‘AI generativa usa dati per creare nuovi contenuti (settori interessati sono principalmente le attività artistiche, creative) mentre l’AI predittiva analizza di dati storici, accumulando informazioni alla stregua di un cervello umano, al fine di formulare previsioni su eventi futuri (settori interessati: finanza, medicina, economia, statistica).
Ma qual è, al momento, il grado di diffusione dell’AI nel nostro Paese? I dati esposti di seguito provengono da un’indagine condotta dalla Banca d’Italia sulle imprese italiane dell’industria e dei servizi con più di 20 addetti per l’anno 2024. La percentuale di aziende che utilizza, a qualsiasi livello, l’intelligenza artificiale nei processi produttivi è in aumento: all’inizio del 2025 ha raggiunto il 27% delle imprese dal 13% nel 2024 e dal 4% nel 2020. Nel 2024 il settore dei trasporti con il 16% delle imprese e quello dei servizi professionali a imprese e famiglie 29% erano i maggiori utilizzatori dell’AI. A partire dal 2025 l’adozione è aumentata in modo significativo in tutte le imprese, in particolare l’AI è utilizzata dal 30% delle imprese dei servizi e dal 24% delle imprese manifatturiere.
In particolare, l’AI generativa (creazioni di testi, immagini e contenuti audio personalizzati) è adottata dal 24% delle imprese mentre l‘AI predittiva è adottata dal 17% delle imprese. Come si può notare da questi pochi numeri la crescita nel triennio è stata molto rapida. Ma qual è stato l’impatto sull’occupazione? Un paper intitolato “La transizione digitale nelle imprese italiane: l’adozione del cloud computing e dell’intelligenza artificiale”, sempre di Bankitalia basato sui dati dell’indagine del 2023, evidenzia che non si sono rilevati effetti di sostituzione tra l’AI e l’occupazione, anzi le poche imprese che nel 2020 già adottavano l’AI nel triennio 2020-2023 sono cresciute più delle altre riportando benefici sul fatturato e sull’attività aziendale e hanno incrementato l’occupazione. Si tratta di un fenomeno in forte crescita e questi risultati potranno essere falsificati dalle evoluzioni future e da analisi mirate. Ad esempio, da uno studio di Microsoft di luglio 2025 “Working with AI: Measuring the Occupational Implications of Generative AI” è emerso che il lavoro dei traduttori professionisti è diminuito sia in qualità sia in quantità e che i prossimi nella lista potrebbero essere gli storici e gli assistenti dei passeggeri.
In conclusione, lascio aperte alcune questioni che potranno essere riprese in future riflessioni: l’AI è effettivamente una tecnologia dirompente, che metterà al margine il lavoro umano, oppure è solo una montatura pubblicitaria da parte di imprenditori delle big tech desiderosi di estendere il loro potere sul mondo imponendo il capitalismo di sorveglianza a danno del lavoro, svalutando la creatività umana (tesi sostenuta da Emily M. Bender e Alex Hanna nel volume THE AI CON del 2025)?
Il nostro Paese con un così basso livello di alfabetizzazione informatica di base potrà comprendere e mettersi al riparo da questo tipo di attacchi? Nelle economie avanzate la popolazione è in diminuzione, di conseguenza la forza lavoro si sta contraendo, e in alcuni Paesi la produttività è stagnante: potrà essere l’AI il rimedio di questi mali? La politica (le democrazie) e la religione riusciranno ad evitare di essere spodestate? Concludo con un’ultima citazione tratta dal lucido romanzo di Guido Morselli “Roma senza Papa” del 1967 pubblicato postumo nel 1974 “I francescani di Palo Alto tentano di convertire al cristianesimo le macchine pensanti della Rand e della Westinghouse”, vi ricorda qualche importante personaggio contemporaneo?