Cecità. José Saramago e le catastrofi rivelatrici
Articolo di Martino Ciano già pubblicato per Zona di Disagio
La cecità è qui rappresentata come un virus che si abbatte su buoni e cattivi. Non fa nessuna distinzione, ma mette tutti sullo stesso piano. Solo una donna rimane immune da questo totale blackout visivo che colpisce l’umanità. Forse è colei che il fato ha scelto per essere testimone di ciò che accadrà?
Cecità è il libro più conosciuto di Saramago; è passato tra le mani di tanti. Apprezzato e criticato, amato e odiato, questo testo per molti ha rappresentato il primo, e forse unico, approccio con l’opera dello scrittore portoghese. Quando lo lessi, intorno ai 25 anni, fui attratto dallo stile, dal modo originale in cui i lunghi periodi si incastravano alla perfezione, creando un “prima” e un “dopo” non tanto temporale, ma di senso; come se in quella circolarità, al limite della correttezza grammaticale, ci fosse l’esposizione di una teoria etica.
Ma forse ero io a voler divagare troppo, come ho sempre fatto davanti a un libro invece, pagina dopo pagina, mi accorgevo di questo retrogusto pessimista, in cui al centro veniva posta un’umanità indifferente a qualsiasi richiamo di redenzione, preferendo la crudeltà.
In questo romanzo, la nuova società dei ciechi si riorganizza secondo le stesse regole del gioco disputato prima dell’emergenza sanitaria. La misteriosa epidemia non crea quella solidarietà tra i componenti della stessa specie che, invece, dovrebbe spingere al mutuo soccorso. Come nel mondo di prima, pochi comprendono il loro stato di necessità, mentre molti continuano lungo la strada delle divisioni di classe, delle lotte di potere, della conquista dell’egemonia e della ricchezza.
Detto in soldoni: nulla cambia, se non i metodi di accaparramento. Potremmo dire che tutto alimenta il famoso senso del “si salvi chi può”. In questo modo, Saramago non racconta solo del risveglio degli istinti ancestrali, ma anche dell’egoismo contemporaneo, legittimato dalle sconfinate illusioni di libertà che la società pensa di poter dominare.
Questo libro, così come La Peste di Albert Camus, tornò molto in voga nel periodo del Covid-19. Vennero creati anche facili accostamenti tra il romanzo e l’assurda situazione che si era venuta a creare durante il Lockdown. Infatti, non va dimenticato che Cecità è del 1995 ma, secondo me, come scrissi nel 2020 in un gruppo di lettura che dedicò giorni e giorni all’argomento, è stato un accostamento forzato. Saramago non pone in evidenza nessun “complotto”, ma l’immagine di una umanità che, nonostante la disgrazia, né si redime né compie un atto di conversione morale.
Il terrore che si libera in coloro che sono colpiti dalla malattia, fa ripiombare gli uomini in comportamenti primitivi. Saramago è crudele nella sua esposizione; sono pochi i gesti di umanità e di solidarietà, mentre ce ne sono molti in cui la crudeltà e la tracotanza trionfano. Anche quando tra i ciechi si creano fazioni opposte, bene e male producono atti banali e insensati.
La cecità a un certo punto se ne va, svanisce. La nube lattiginosa che ha tolto progressivamente la vista a tutti, tranne a una donna che pur vedendoci rimane perplessa di fronte al male che i suoi occhi hanno dovuto immortalare, tanto da aver desiderato più volte la completa cecità, resta un mistero. Colei che ha potuto vedere per raccontare non sa spiegarsi perché è rimasta immune.
Voglio anche azzardare un’ipotesi, ossia, che questa donna sia una forma di quel Dio, in cui Saramago non ha mai creduto, che completata la sua opera non è più riuscito a dirigerla, tanto da farsi cieco di fronte alla cosa più insensata, e facile da compiere, attraverso cui l’uomo attesta la sua potenza: il male.