Un “boomer” esperienziale

Un “boomer” esperienziale

Articolo e foto di Martino Ciano

Camminavano per strada e li ho fermati. Dapprima mi hanno guardato con diffidenza, poi si sono sciolti. Perché parla con noi? Questo avranno pensato. Ho posto loro delle domande da boomer. Mi hanno riconosciuto. Ho un ruolo, forse da poco, ma il paese è piccolo, il paese è un’unica persona. Ho chiesto di raccontarmi del loro mondo, perché, sempre secondo loro, io non ne faccio parte da diverso tempo, tant’è che mi hanno dato del voi, lo stesso voi che utilizzano quando sono incazzati e rinfacciano ai loro padri o alle loro madri le solite mancanze. Con me sono stati gentili, però. D’altronde non ho colpe, secondo loro (dopotutto sono ancora ingenui). Non siete rompipalle come certi tipi, esclama uno dei tre, forse è il capobanda.

Spiego loro che anche la mia generazione è stata fottuta con la storiella dello studio e della meritocrazia. Uno dei tre mi dice la scuola l’ho abbandonata da tempo. So leggere e scrivere quel tanto che mi basta. So usare internet e so come muovermi, me ne frego delle altre cose. Ascolto in silenzio, cosa dovrei rispondere? Avrei dovuto attaccare con uno di quei discorsi pieni di stronzate secondo cui la cultura ti rende un uomo migliore o che il sapere aiuta a difendersi dai soprusi?

Un altro mi dice che ha diciotto anni, che i suoi hanno divorziato tre anni fa e che la madre e il padre fanno a gara per dimostrargli affetto. Uno mi compra una cosa, un altro mi compra un’altra cosa. Ma chi è questo Uno e questo Un altro? Chi è la madre e chi il padre? Mi rendo conto che la mia domanda è sciocca. Ormai in un mondo reificato, di cose, tutto è elevato a forma impersonale. Aggiunge un altro elemento, anche se non avevo aperto nessun discorso in merito… Il nuovo compagno di mia madre mi sta sul cazzo; la nuova compagna di mio padre mi sta sul cazzo; il mondo intero mi sta sul cazzo. Ride, accende una sigaretta, si siede sul muretto e termina con una battuta: Prima o poi li fotto tutti. E gli altri due rispondono: Abbiamo già fottuto tutti, brò! (Brò starà per fratello? Sono vecchio io, non capisco di queste cose!)

Un altro ancora mi ha detto che l’esame di maturità lo supererà sicuramente, altrimenti il padre andrà a scuola e spaccherà il culo a tutti. Me lo dice mentre sorseggia una birra che si è portato da casa. Nota che quella bottiglia ha catturato la mia attenzione… i ragazzi di oggi sono degli acuti osservatori. Dopo l’ultima sorsata si è fatto una risatina e ha aggiunto Ma voi non le facevate ‘ste cose? Ho risposto Non così spudoratamente. Ho mentito. Io e i miei amici abbiamo fatto di peggio, ma a quarant’anni e oltre posso permettermi di essere un ipocrita moralista. (Che battuta infelice, eh?)

Tre ragazzi. Ognuno di loro parla in maniera diversa, tutti e tre si incontrano per essere niente. Cercano l’amore e la comprensione, ossia qualcuno che perdoni loro qualsiasi marachella. Parlano una lingua che unisce dialetto, inglese, acronimi, italiano riadattato. Non so se siano geniali o interconnessi a qualche altra dimensione. Mentre discutiamo, ascoltano musica con i loro iPhone. Tre cellulari, tre canzoni diverse che creano un sottofondo disturbante, disturbante solo per me, sia ben chiaro. A loro piace così.

Chiedo di spegnere la musica. In un primo momento obbediscono, poi uno di loro deve di nuovo sintonizzarsi su Spotify. Mi domando perché… ma questa domanda è proprio senza senso.

Ma non finisce qui…

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