Un tempo minimo. Selene Pascasi e il confronto con l’universale
Recensione di Martino Ciano. In copertina: “Un tempo minimo” di Selene Pascasi, Eretica Edizioni, 2024
Il tempo minimo è l’attimo più ampio che possediamo; è espressione di quell’unità di misura personale attraverso cui riusciamo a delineare lo spazio calmo, cauto, nel quale possiamo proteggerci dallo scorrere dei minuti, delle ore e dei giorni.
In questa zona occupata solo dalla nostra presenza, Selene Pascasi si rifugia e compone, aprendo il suo dialogo al cuore e all’anima, al corpo e alle sue forme. La poesia è per sua natura breve lirica che cattura, che si appropria di ciò che gli organi del fisico e dell’anima percepiscono.
Non ricordo nulla/se non quel tutto/che versava essenza/in calici vuoti./Era l’esistenza distillata/la sinfonia del prologo/calco di veleno sul fianco./La mente è stanca/mentre scrive a memoria/su quaderni d’ovatta/il racconto di un volto/scampato all’inviolabile./Ma una poesia inciampa/nelle vene del tempo/per donare orme come rose./Tornano le lucciole/a scoprirsi aironi.
Pone domande semplici Pascasi; i suoi sono componimenti che attestano il dubbio e la riconoscenza, il male e le gioie della vita. Cos’altro può fare l’essere umano se non arrovellarsi sulla ricerca del senso delle cose? C’è una soluzione, o una visione totalizzante, o una prospettiva che salva dalle incongruenze dell’esistenza? C’è la possibilità di fermare il movimento della Terra, o lo scorrere del tempo?
A tutto ciò possiamo rispondere con un secco “no”. E allora perché ci ostiniamo a ricercare spiegazioni e soluzioni? Forse, perché riusciamo a incastrare ciascuno di noi con il variegato universo umano; così come il tempo di ognuno diventa parte di quello in cui tutti siamo immersi.
Cos’è quindi questa raccolta di poesie? È composta da liriche di condivisione in cui “io” si fa “noi” in maniera naturale, senza sforzo, senza acrobazie del pensiero o della fantasia, ma solo raccogliendo dall’esperienza che si fa quotidianamente tra gli altri.
Disegnami la tenerezza./Siamo nati per restare/fingendo di partire/solo per scoprire/la pungente dedizione/della scomparsa./Azzardo il vagito./Il lutto è miele.
È così che la poesia diventa un canto corale, in cui anche le stonature, le brutture, hanno il loro posto assicurato.