La Theia Mania di un Platone poeta. Stefano Cazzato e il suo “Divino Platone”
Recensione di Giuseppe Cappello
Stefano Cazzato arriva a questa pubblicazione già forte di un importante cammino esegetico ed editoriale sulla filosofia platonica. Ci arriva dopo aver studiato il filosofo ateniese per anni e, lungo una decade, dato alle stampe Dialogo con Platone. Come analizzare un testo filosofico (Armando Editore 2010), Una storia platonica. Ione e la stirpe degli interpreti (Ladolfi Editore 2017), Il racconto del Timeo. Platone e la letteratura (Ladolfi Editore 2019). La lunga «ruminazione» di Cazzato, come la chiamerebbe Nietzsche, giunge però in questo testo a un vero e proprio manifesto dell’autore. Un manifesto personale, nel senso più profondo che la venatura religiosa ha dato a questo termine epocale, un manifesto esistenziale, e però anche un manifesto della relazione con il mondo che la persona ha scelto nella sua dimensione di studioso e di insegnante. Dunque un manifesto pubblico. Un manifesto pubblico e sul pubblico in cui la persona si muove e si fa, pur nel codice della sua irriducibile eccezionalità.
Ne Il divino Platone vi è profusa tutta la theia manìa, la divina mania, che ha rappresentato e rappresenta la ricerca di Cazzato nel suo rapporto con Platone, con la filosofia; con una filosofia che investe l’intera sfera della persona perché di essa innanzitutto si nutre. Una divina mania, quasi un’ossessione, un mantra, dentro cui l’autore e la persona ci dicono la loro parola su Platone: se è vero che Platone, seguendo Socrate, si innalzò da un’interpretazione sensistica del mondo a quella che è l’interpretazione concettuale e poi idealistica della realtà, è pure vero che Platone dovette trascendere la stessa interpretazione concettuale per innalzarsi, attraverso il mito e la poesia, recuperati da una giovinezza presocratica, a quella dimensione metalogica che la stessa dimensione metafisica sopravanza.
Cazzato percorre tutti i gradini filologici, storico-filosofici ed esegetici per arrivare al suo punto di vista. E, in questo procedere per gradi, ciò che viene in primo piano sono la profonda conoscenza dei dialoghi platonici accanto a cui si pone una vastissima conoscenza della filosofia contemporanea; una filosofia contemporanea che tutta appunto trova nel fine del recupero di un Platone metalogico il suo punto di ricaduta totalizzante. Bisognerebbe dire meglio e parlare, piuttosto che di filosofia contemporanea, di filosofia postmoderna. Innanzitutto perché Cazzato sta con il suo studio e la sua riflessione dentro questo orizzonte di cultura, di senso e di spirito. Ma soprattutto perché il luogo del cortocircuito dentro cui si accende la fiamma di questo libro è quello dell’incontro e della stessa giustapposizione fra due epoche e due cifre concettuali: il postmoderno e il tardoantico.
Insieme e in fondo, in questo libro, ci sono due filosofi che apparentemente sono agli antipodi: il più ricorrente e patente Nietzsche e il latente basso continuo di un Agostino lettore delle Enneadi di Plotino. Se lo volessimo dire, e lo dobbiamo dire, in philosophicis, il libro di Cazzato è il libro dell’Essere e del Nulla; il libro delle prime due categorie della logica hegeliana. Di quelle due categorie in cui qualcuno ha visto già tutta la logica hegeliana e invece, per dirla con Francesco Valentini, c’è solo «un’alba di pensiero». Sennonché ciò che quel «solo» riduce di fronte all’aristotelico e allo stesso hegeliano, per Cazzato è ciò che innalza oltre l’aristotelico e l’hegeliano. Cazzato recupera, dentro questo suo manifesto, il Platone dell’alba prima del pensiero e del tramonto dopo il pensiero; quel pensiero della prima vera categoria della logica hegeliana che, attraverso il divenire, è l’essere determinato.
Vuole recuperare, Cazzato, quello che, nel suo studio e nel suo manifesto, è il vero Platone: il Platone che sta oltre il Sofista e il Politico, che sta oltre la dialettica e il principio di individuazione. Il Platone della Lettera Settima a cui nel libro, per radicare la sua tesi e la sua visione, l’autore dedica un’intero capitolo soprattutto in quel punto dove la scuola di Tubinga e Giovanni Reale hanno prospettato l’insufficienza dei dialoghi e della dialogica platonica; e, con una certa interpretazione del Libro Settimo della Repubblica, hanno favorito il passaggio ermeneutico dal logos al mythos lì dove si voglia parlare di ciò che sopravanza l’essere stesso delle idee e si trascenda dentro la metalogica in cui il sole illumina in un tramonto accecante di pensiero la scaturigine dell’essere stesso.
L’Idea del Bene. Questo è il punto in cui l’autore, abituatici alla sua frequentazione del nichilismo contemporaneo, ci dice che quel nichilismo diviene «filosofia del martello» che innalza intanto che demolisce. Innalza all’Essere intanto che distrugge l’essere determinato. Non è un caso che il sottotitolo del libro sia quello di Filosofia e misticismo. E non è un caso che, nella sua consistente frequentazione della filosofia contemporanea, Cazzato citi, anche in exergo, più volte Wittgenstein. Il libro di Cazzato e il manifesto filosofico e personale che in esso si compie – per leggerlo appunto con Wittgenstein – fanno chiarezza come le proposizioni filosofiche del Tractatus «fanno chiarezza in questo modo per cui colui che comprende, infine le riconosce sensate, se è salito per esse – su di esse – oltre esse. (Egli deve, per così dire, gettar via la scala dopo che vi è salito). Egli deve superare queste proposizioni; allora vede rettamente il mondo».
Vedere rettamente il mondo. Nel libro di Cazzato c’è misticismo e ascesi; molto bello uno dei capitoli finali su Simone Weil interprete di Platone che ha, in exergo, una poesia di San Giovanni della Croce. Ma questo libro ci aiuta anche a guardare il nostro mondo. E in fondo, con le sue pandemie, le sue guerre, le crisi climatiche e alimentari, con le crisi delle istituzioni democratiche, lo sovrappone e lo rende intellegibile dentro la luce di altre epoche. Quella appunto ellenistica della fine della polis e quella tardoantica della crisi dell’Impero romano. Il libro ci aiuta a guardare la storia attraverso i paradigmi della filosofia e a sperare plausibilmente che nel misticismo della poesia già un seme possa esserci per una nuova alba dell’uomo.
Ecco il senso della poesia platonica recuperata dalla giovinezza perché nella vecchiaia del singolo e del pubblico si possano scorgere nei nostri figli i patres conscripti di un nuova età. E nelle eidetiche figlie di Platone l’ispirazione poetica e poietica di un auspicabile demiurgo dell’antropocene.