Cronaca verosimile: “Il giorno in cui ho deciso di non essere padre”

Cronaca verosimile: “Il giorno in cui ho deciso di non essere padre”

Articolo e foto di Martino Ciano. Questa conversazione è realmente avvenuta…

Non siamo esseri fatti per la morte, ma per la vita. Questa constatazione mi gettò nello sconforto quando sentii il primo vagito del figlio nato a un mio caro amico. Un figlio è l’unico modo che abbiamo per sconfiggere la morte, per renderci immortali, ché poi sempre di quello abbiamo paura: di tornare al nulla, non della morte in sé. Ancora oggi, nonostante siano passati anni da quel giorno, ricordo bene quella arrogante felicità che prese anche me, sollevandomi dalla panca sulla quale avevamo atteso che il parto finisse. Mi fece spiccare il volo per tutta la corsia dell’ospedale, ma in fin dei conti non era mio figlio, quindi mi domandai perché esultavo. Forse, la volontà di vita mi aveva drogato, annebbiato, circuito?

Quando tornai in me, in possesso delle mie facoltà, mi accucciai nell’abituale solitudine per la quale ero conosciuto. Compresi che non era quello il mio posto. Scacciai da me la volontà di vita. Avevo da sempre accettato l’ineluttabile verità della morte, quella a cui tutti siamo soggetti, dalla quale sfuggiamo in ogni istante. Procreare è un istinto di sopravvivenza, una necessità di riproduzione carnale con cui si continua a dichiarare guerra alla morte. La morte però vince sempre, porta via il corpo e mette a tacere le sensazioni.

Nel corso degli anni, quando ho avuto il coraggio di fare questo discorso, sono stato additato come un egoista o, peggio ancora, come un essere contro natura. Mi sono difeso dicendo che in fin dei conti la natura se ne frega della nostra etica. Procreare è solo una funzione come le altre, una possibilità, un’opzione che ci è stata data. La natura ci ha dato solo gli strumenti per farlo, ma non ci impone nulla; possiamo usare il nostro corpo come vogliamo. Le rivendicazioni di eternità e di immortalità sono invece manie umane, queste sì che sono contro natura, ma sorrette da un’incrollabile fede. Ma come diceva qualcuno, la fede è credere in ciò che è impossibile. La fede infatti è il modo in cui malediciamo la natura e anche l’arma che usiamo per superarne i limiti.

Sì è vero, anch’io credo nell’impossibile; anch’io ho fede in qualcosa. Persino questa sfacciata coerenza è contro natura e prima o poi finirà. Ma quando ho avvertito la falsità delle pretese della volontà di vita, l’improprio richiamo dell’idea che un figlio riscatterà la mia morte, non ho potuto fare a meno di fermarmi. Morire è il modo migliore per proclamarsi uomini con i propri limiti. Forse non c’è onestà più grande del riconoscere un limite, il proprio.

Nonostante tutto, guardo con ammirazione chi ha deciso di gettare altri esseri viventi nella mischia quotidiana. Forse in questa continuità generazionale avverrà il miglioramento del Dna o degli istinti di base; o forse, si nasconde in essa una costante procreazione di solitudine, il deliquio della caducità, la volontà di sperare, la necessità di essere leggeri.

 

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