Pietro e Paolo. Mario Sobrero e l’itinerario delle rivoluzioni mancate
Recensione di Martino Ciano già pubblicata per Gli amanti dei libri. In copertina: “Pietro e Paolo” di Mario Sobrero, Rfb, 2023
C’è una letteratura sepolta che solo dopo molto tempo torna a noi, e chissà perché. È composta di libri che hanno raccontato sul nascere aspirazioni, rivoluzioni, tradimenti ideologici, ciò che siamo diventati. Da questo punto di vista, il caso del romanzo Pietro e Paolo è emblematico. Le pagine buie di quell’intermezzo fatale tra la fine della Prima guerra mondiale e la svolta totalitaria imposta dal Fascismo, vengono qui descritte alla perfezione.
Torino è la grande città-operaia in cui si incontrano e si scontrano ideali opposti. Mario Sobrero, scrittore e giornalista de “La Gazzetta del Popolo”, di tutto ciò che vede ne fa un romanzo che oltrepassa il solo momento storico. Da una parte Pietro, operaio e rivoluzionario; dall’altra Paolo, ardito e fascista della prima ora. Sono due giovani pronti a immolarsi per la propria causa, ma sono anche inconsapevoli burattini di quel potere che miete le sue vittime dopo aver lasciato credere a tutti di essere protagonisti e di aver scelto consapevolmente il loro destino.
Agli operai bastano le voci sulle “terribili condizioni di vita in cui sono caduti i russi dopo la Rivoluzione bolscevica” per smussare il grande disegno utopico che li ha animati per mesi e mesi; per non parlare poi della scissione del 1921 tra comunisti e socialisti, che avrà l’effetto di un colpo mortale; mentre agli arditi la conquista di Fiume sembrerà l’unica cosa da attuare per dare prova della loro forza, visto che l’obiettivo finale è l’Italia intera. Ecco gli ideali sgretolarsi pian piano, man mano che le condizioni di vita peggiorano, soprattutto quelle degli operai, che si accontentano di piccole conquiste con le quali darsi un po’ di animo.
La corsa disperata verso un’Italia nuova che nuova non voleva essere
Tra Pietro e Paolo, c’è Davide Artero, padre di Paolo, avvocato che non dimentica le sue origini. Lui proviene dal proletariato e solo grazie all’intervento di un benefattore che lo salvò dalla povertà, adesso è un borghese. Infatti, Pietro e Paolo sono cugini, ma con storie diverse. Ma è solo grazie al fato che la storia di ognuno è diversa dall’altra? Davide se lo domanda sempre, forse è lui il vero protagonista del romanzo e di tutto ciò che rappresenta questo racconto, in cui la Storia appare come una liturgia della prevaricazione.
Davide, per quanto legato al figlio, non condivide la violenza fascista, così come non accetta quella degli operai, ma da una parte ne comprende le ragioni. “La loro colpa è chiedere migliori condizioni di vita?” domanderà a suo figlio Paolo, che ha solo parole di disprezzo verso i proletari. Forti anche le figure femminili che si incontrano tra queste pagine, loro sono immagini di disperazione e di accettazione attraverso cui Sobrero lega borghesi e proletari allo stesso destino. Ne cito una, Clelia, moglie di Davide, che attende il ritorno del figlio dal fronte. La sua attesa, anche se vana, è un cantico alla speranza in un teatro in cui vittime e carnefici non riescono più a distinguersi.
Il romanzo di Sobrero fu pubblicato per la prima volta nel 1924. Ebbe un grande successo e venne anche tradotto in alcuni paesi europei. Poi l’oblio, eppure in sé nasconde una storia che andrebbe letta e riletta, perché sa di attualità. Ed è forse questo il motivo per cui alcuni libri scompaiono: si dà loro quel senso di utilità momentanea; invece, ogni romanzo è prima di tutto testimone della propria epoca e contiene quella giusta dose di “avvenire” che apre sempre più lo sguardo sul nostro futuro.
Pietro e Paolo va inserito tra i grandi romanzi italiani, anticipa molti temi che saranno affrontati per buona parte del Novecento. Leggendolo mi sono appassionato a questo stile che sa raccontare senza lusinghe, senza troppi tentennamenti. Una sensazione che ho provato di fronte ad altri due romanzi del genere, Mors tua di Matilde Serao e Il giorno del giudizio di Salvatore Satta.