Il contagio. Walter Siti e il racconto del mondo diventato borgata
Recensione di Martino Ciano. In copertina: “Il contagio” di Walter Siti, Bur Rizzoli, edizione del 2017. Questo contributo è già stato pubblicato su Zona di Disagio
C’è un elemento importante che Walter Siti mette in evidenza; lo fa nelle ultime pagine del romanzo, suggerendoci il senso dell’intero libro: Pasolini si preoccupava del fatto che le borgate romane potessero diventare “borghesi”, invece oggi si può dire che ogni luogo si è trasformato in “una borgata”.
“Il contagio” infatti non è altro che questo: uno studio sul campo, diventato romanzo, che racconta come si è compiuta questa metamorfosi. Il narratore è un professore che si lascia contaminare dal “nichilismo”, dalle fisime della “società dello spettacolo”, dalla “politica del corpo e della felicità mordi e fuggi”.
La borgata non è più un luogo di resistenza o il terreno fertile da cui far partire una vera emancipazione; Siti spazza via con i fatti ciò che Pasolini aveva cercato di salvare, stendendo su quella precarietà persino un velo romantico. Ormai, nel XXI secolo, i coatti hanno imparato e applicano le leggi del soldo facile, dello sballo, del sogno di entrare a fare parte del mondo dello spettacolo. Non sono più soggetti, ma oggetti di scambio; non sono più “classe”, ma ognuno aspira a essere “unico e speciale “; logicamente, l’obiettivo è salvarsi e vivere quanto più possibile come un pascià.
Alla gente di borgata è rimasta la consapevolezza di non avere nulla da perdere. La vita non ha valore, ma è una guerra che ha come unico scopo il raggiungimento di una vetta effimera. Ecco spiegato un tipo come Marcello, ragazzo di vita e spacciatore, mosso da sporadici sentimenti di compassione e di amore. Eppure, quel che c’è ancora di umano in lui è troppo poco, o meglio, è così sepolto che non riesce a contrastare l’onda d’urto che giunge dall’esterno.
Siti, prima che romanziere, si fa etnografo e sociologo. Va e perlustra, inventa una storia, cioè l’intreccio, ma poi tutto è realtà. Una realtà raccontata con volgarità, con violenza, con assenza di giudizio, con lucidità. Il testimone oculare è però consapevole di fare parte del gioco, proprio perché le borgate hanno prima assorbito il peggio della società dei consumi e poi lo hanno rigettato fuori, contaminando l’ambiente circostante.
Che sia questa una vendetta?
È così vasta l’opera del professore Siti che riassumerla è impossibile. Ma c’è pure un altro aspetto, siamo in grado di capire quanto anche noi facciamo parte del sistema? Quanto siamo contaminati e quanto contagiamo il prossimo? L’autore non ce lo dice, ma ce lo fa comprendere. D’altronde, un malato che non sa riconoscere i sintomi della patologia da cui è affetto, che crede di essere sano perché pensa di avere dalla sua dei robusti anticorpi, non è forse il peggiore degli untori?
Come Sciascia fece nel suo libro sul tragico rapimento di Moro, anche Siti si concentra sul linguaggio e su come esso cambi nel tempo. I politici hanno sostituito la parola “borgata” con il termine “periferia”, rendendo queste aree dei “non luoghi” da “riqualificare”; tant’è che come tutti i “non luoghi” hanno confini mobili. E anche i borgatari non vogliono più essere definiti tali. I veri emarginati sono ormai zingari, vagabondi ed extracomunitari.
Siti scrisse questo romanzo nel 2008, poi nell’edizione del 2017 è stato aggiunto un altro capitolo nel quale si racconta una storia “a lieto fine”, ma ciò non è un “contentino”, bensì l’eccezione che conferma la regola.
Certo, a chi leggerà, le borgate non appariranno solo come zone “degradate”, ma anche come quel mondo in cui qualsiasi teoria di genere, di libertà, di lotta, di crescita economica sembrano realizzabili. Ma è proprio questo che non deve ingannare. Infatti, tutto è possibile perché in nulla si crede per davvero. Senza nessun ideale o freno inibitore, nel mezzo di un’etica liquida, ogni modello che viene sperimentato diventa l’ultima chance.
Ed è sempre il professore-narratore, colui che ama Marcello e di cui sfrutta il suo giovane corpo per sbrigliare le proprie fantasie erotiche, che è ben felice di vedere come quel ragazzo di borgata si massacra in palestra e fa uso di sostanze per mantenere il suo fisico statuario, che rappresenta la parte più “malata” del sistema. Anzi, è da quella classe, un tempo borghese, che è partito il contagio.
Ma per spiegare tale fenomeno dovremmo tornare a Pasolini, che già aveva anticipato tutte queste degenerazioni.