Un amico fragile sul tandem delle voci dissacranti

Un amico fragile sul tandem delle voci dissacranti

Recensione di Luciana De Palma. In copertina “Abbiamo tutti bisogno di un amico fragile” di Nicola Vacca, Qed Edizioni, 2024

In Abbiamo tutti bisogno di un amico fragile (Qed ed.) accade di ascoltare un dialogo fitto tra Nicola Vacca, autore dello stesso, e Fabrizio De André. Quello che percorriamo, pagina dopo pagina, poesia dopo poesia, è il sentiero della ricerca che diventa esperienza di un pensiero forte e di una parola tagliente.

Contenute in questo libro sono riflessioni lancinanti che tagliano l’aria come venti glaciali, rendendo difficile respirare a meno di non voler accettare la tormenta come condizione esistenziale dell’uomo che cerca la verità.

Nicola Vacca si rivolge idealmente al cantautore genovese per convertire in prove schiaccianti quelle visioni cariche di sconforto morale e culturale che De André rese tema delle sue canzoni.

Senza abbandonarsi al miraggio di false speranze né tentare appigli disperati a una chissà quale illusione momentanea, il poeta rifugge la consolazione delle teorie misticheggianti in cui la società moderna dissolve lentamente ogni possibilità di rinnovamento e prova a tratteggiare un discorso che abbia consistenza di lotta e di resistenza.

Ci sono versi, in quest’opera, che annientano ogni residuo di inganno in cui l’umanità non fa che soffocare la bellezza, l’amore, la poesia, la condivisione. Ci sono parole, in questo libro, che restano avvinghiate alla mente come uncini alla bocca di un pesce abboccato all’amo.

La misericordia di dio/è un’invenzione dei devoti/che hanno paura dell’inferno oppure lo sconforto/ci sorprende in una bestemmia a mani giunte o ancora Signori benpensanti/vi scaverò la fossa/con le mani nude del pensiero sono molto più che versi di poesie: sono colpi di un’arma che mira allo spirito, colpendolo in pieno.

Leggere e poi rileggere tutte le poesie qui contenute ha il valore di un’illuminazione, lenta e cadenzata dalle riflessioni che si avviano verso spazi sempre più ampi, conducendo la mente alle radici di una realtà con cui ogni giorno deve confrontarsi.

Lo stile scabro e la scrittura implacabile fanno sì che, voltando pagina, si comprenda il progetto culturale di Nicola Vacca: andare a fondo, sempre più a fondo, dentro una questione che non riguarda un pensatore isolato, ma l’intera umanità, poiché sul sentiero aperto dal singolo presto si incammineranno gli altri.

Non importa quanto tempo impiegherà la ragione ad accettare il dovere di aprirsi a nuove prospettive seppur dolorose, a nuove gradazioni di consapevolezza, perché tutto quanto accade sulla pagina scritta troverà in qualche modo la forma per manifestarsi a chi quelle pagine terrà tra le mani.

E di sicuro accadrà di vedere, di sentire con prodigiosa intensità quello che i poeti Vacca e De André intendono rivelare: non una fede che sostituisca quelle vigenti, non un assioma che degradi l’intelligenza a mezzo secondario per conquistare un posto in

paradiso, ma la sostanza ruvida e aspra di un’esistenza sempre più declinata verso l’egoismo, la violenza, la meschinità.

Dove c’è dio/non c’è nessuna libertà scrive Vacca nella poesia Libertà. Se questa parola fosse svuotata dal suo inutile carico di romanticismo e ritrovasse il significato che richiama al senso di responsabilità politica, etica e sociale, allora si riuscirebbe a comprendere che nessuna salvezza giungerà mai da nessun dio poiché la scelta finale spetta solo agli esseri umani.

Solo a questi ultimi tocca il difficile e urgente compito di prendere atto della miseria sparsa ovunque per provare a redimersi non in virtù di un premio finale quanto di una compassione universale che mostrerebbe la vanità delle guerre e quindi la loro follia.

Nella poesia intitolata Il silenzio prima dell’inverno leggiamo i versi: Dovremmo chiederci come ci siamo finiti/in questo intricato gioco di trame./C’è un silenzio nella risposta.

Interrogarsi è proprio di chi persevera in un faticoso scavo tra le macerie accumulate per anni, forse per secoli in cui l’inettitudine dello spirito e della mente è stata praticata con famelica voluttà.

Porsi domande, lasciarsi afferrare dai dubbi, chiedersi sempre cosa ci sia dietro la tenda che nasconde un passaggio stretto e buio verso spazi indefiniti e vergini in cui aleggiano verità scomode, terribili, ma necessarie da svelare: è questo che fa il poeta, è di questo che vive chi non accetta di farsi ricoprire dal fango della menzogna.

Se si vuole davvero essere fraterni/il dolore degli altri/bisogna viverlo come fosse il nostro, leggiamo nella poesia Noi siamo il dolore degli altri.

L’unica occasione per dilaniare quell’egoismo ormai incancrenito nella società va colta nella dimensione dell’empatia, vera, autentica, libera da secondi fini e non viziata da ritorni vantaggiosi.

Il dolore è un’onda che incessantemente ritorna a riva: nulla può evitare che accada, eppure si può lenire la paura, affrontando le risacche con la coscienza di un destino comune che non deve sottrarre nessuno dall’onere di prendersi cura dell’altro.

Abbiamo tutti bisogno di un amico fragile/che ad alta voce ci dica a verità: nessuna verità, se è tale, può essere raccontata sottovoce o spifferata in un orecchio, soprattutto quando a metterla nero su bianco è un poeta, anzi sono due.

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