Pietro Romano. Case Sepolte. I Quaderni del Bardo
Recensione a cura di Martino Ciano – già pubblicata su L’Ottavo
Le Case sepolte di Pietro Romano sono edifici sprofondati negli abissi dell’anima su cui si sono depositati strati e strati di terra. Sono abitazioni nascoste da frane emotive. Nelle loro stanze non si trovano detriti, sugli oggetti non v’è polvere, tra gli arredi dormono serenamente i ricordi.
Il lettore sarà quindi come un archeologo, che dopo aver tanto scavato dovrà anche avere il coraggio di esplorare ogni stanza e di ricostruire i momenti di coloro che vi hanno vissuto. Ed è per questo motivo che quella di Romano non è solo poesia, ma un dialogo incessante con il suo lettore. Proprio a lui viene dato il compito di interpretare i versi, di amalgamarli con le proprie emozioni, con l’esperienza.
Tra queste pagine non vi sono poesie, ma frammenti, a volte brevi aforismi, che si intrecciano in maniera enigmatica. Non c’è un poeta che scrive e un lettore che passivamente assimila, ma un tu che diventa io e un me che si spersonalizza. Per fortuna, l’unica vittima di questo sprofondamento è l’ego. Nessun concetto cerca l’approvazione del lettore, ma spinge a un’interpretazione che trasforma la parola in rivelazione.
Case sepolte è un’opera ermetica che se da una parte chiede rispetto, dall’altra non elemosina comprensione. Siamo di fronte a un esperimento letterario che va attraversato con coraggio e con audacia. Nessun componimento è slegato dall’altro, ma ogni verso è saldato a quella che potremmo definire un’unica prosa poetica.
Così, il lettore-archeologo che avrà il coraggio di immergersi tra queste pagine, ritroverà qualcosa di sé e delle sue radici, una parte del mondo che ha abitato e gran parte dei luoghi dai quali è fuggito prima che la catastrofe piombasse sulla sua dimora. Non c’è altro modo per leggere l’opera di Romano se non con gli occhi dell’anima, sospendendo ogni giudizio, ricavando dai versi un dubbio che apra a nuovi mondi, piuttosto che sperare in una risposta.